Festival, serve un rilancio non la rivoluzione

Festival, serve un rilancio non la rivoluzione

di Paolo Micheletto

E ora viene la parte più difficile. Il Festival dell’Economia 2019 va in archivio ma questa volta si aprono molti interrogativi. Cambierà tanto, nell’organizzazione della popolare rassegna. Potrebbe cambiare tutto. Ma è verosimile pensare che cambierà il “giusto”, perché non c’è bisogno di rivoluzioni. Il responsabile scientifico Tito Boeri resterà al suo posto - nelle intenzioni mostrate in pubblico dai protagonisti - però il Festival ha bisogno di ritrovare la via delle stagioni migliori. E ha bisogno di ritrovare sintonia ai piani alti. Con la lezione dell’economista indiano Raghuram Rajan si è chiusa la prima edizione gestita dalla consueta “macchina” organizzativa guidata da Boeri ma finanziata da una maggioranza - quella di centrodestra - che il Festival non l’ha mai amato. Negli ultimi mesi il presidente Fugatti non ha certo mandato tutto all’aria ma anzi ha scelto una linea di continuità.

Prima ha confermato gli stanziamenti della Provincia per l’organizzazione dell’evento, poi ha deciso di darne un supporto “pubblico”, elogiando la formula del Festival, che come visibilità e prestigio è fondamentale per Trento e il Trentino.
Tutto a posto, quindi? Non proprio. Il Festival 2019 ha infatti dimostrato che il rapporto tra il comitato scientifico e il governo nazionale va registrato. Perché altrimenti il Festival perde molto della sua “carica”. Non si erano mai viste tante assenze come in questa edizione: il presidente del Consiglio, i due vicepremier e altri ministri hanno girato al largo. Si vedrà nei prossimi anni se la lacuna verrà colmata o se il Festival dell’Economia di Trento verrà considerato un luogo “ostile” dal centrodestra nazionale. E in questo caso ci sarebbe un bel problema. Da risolvere al più presto, per non perdere caratura e riconoscimenti.
E non si tratta solo di far vedere da vicino ai cittadini di Trento le varie “figurine” che appaiono con grande frequenza in televisione e sui social. Si tratta piuttosto di continuare a fare del Festival un luogo di confronto reale, dove si fanno domande vere e dove si aspettano risposte altrettanto vere. Che invece non ci sono state, da parte del governo e da tanti suoi rappresentanti.

Già domani ci sarà un incontro a Roma, nella sede della casa editrice Laterza, per chiarire alcuni dubbi. Una bella notizia, che dimostra la volontà delle parti di ripartire di slancio, e di togliere ogni dubbio sulle prossime edizioni. Ieri pomeriggio, in sede di commento, nessuno dei protagonisti - dal direttore scientifico Tito Boeri al presidente Maurizio Fugatti - ha speso parole negative. Resta da superare la freddezza, prima di tutto personale, tra i due.
Sia chiaro: sul piano dei contenuti il Festival - come da tradizione - ci ha detto molte cose. In un cielo con tante nuvole la rassegna arancione ha fornito qualche segnale di speranza. Prima di tutto si è detto che un’altra globalizzazione - alternativa a quella che noi conosciamo da vent’anni - resta possibile. Ce l’ha spiegato, ad esempio, Donatella Della Porta, docente di Scienze politiche e Sociologia alla Normale Superiore di Firenze. La quale ha ricordato che - nonostante tutto - i nostri sono tempi di ripoliticizzazione, di ritorno al politico: persino le recenti elezioni europee hanno mobilitato una percentuale di elettori superiore rispetto al passato. E la speranza arriva dalle nuove generazioni, a iniziare dal movimento ambientalista che è sceso in piazza nelle ultime settimane.

Tra globalizzazione e nazionalismo la vera àncora di salvezza può e deve arrivare solo da un mondo più “aperto”, come ha ricordato l’economista britannico Colin Crouch: «La nostalgia di una società del passato, è forte dove mancano la multiculturalità, la tecnologia e una visione aperta sul futuro». Insomma, la vera sfida dei prossimi anni, per l’economia, sarà quella di aumentare ed espandere l’impatto geografico della nuova industrializzazione, per non creare periferie del mondo sempre più grandi. E abbattere i confini spetterà prima di tutto all’Europa, percepita da troppi come chiusa e rigida sulle regole. Il populismo è stato utilizzato dalle forze di destra come leva per scalzare l’èlite dominante, sfruttando il malcontento. La soluzione? «All’Unione europea tocca ora il compito di lavorare a una nuova idea di sovranismo, che vada al di là delle frontiere nazionali e che promuova una crescita inclusiva», ha spiegato il professore bocconiano Gianmarco Ottaviano.

Al Festival dell’Economia sono stati tanti - e ripetuti - i commenti negativi sul populismo e sulla diffusione di forza che fanno della difesa del proprio territorio l’arma principale di propaganda. «Il trionfo del populismo è un disastro, sia dal punto di vista economico, sia per i diritti umani», ha commentato ad esempio il professor Philippe Van Parijs. Aggiungiamo che però è mancata un’analisi sulle “ragioni” che hanno portato i populisti sul tetto politico d’Italia: un confronto sul successo elettorale della Lega - molto legato alla crisi economica e alla globalizzazione - sarebbe stato di sicuro interesse, anche per capire perché Salvini è stato il più attento a intercettare la paura e il malcontento degli italiani.
Ma migliaia di persone oggi torneranno al lavoro, allo studio e alla vita di tutti i giorni con un carico di conoscenza in più. Ed è questo il vero “peso” del Festival dell’Economia, che forse Trento ha rischiato di perdere ma che non perderà.

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