I social amplificano rabbia e odio

I social amplificano rabbia e odio

di Sandra Tafner

«Vorrei sputare in faccia a tutti quelli che hanno indossato le magliette rosse». Il 7 luglio le magliette rosse sono state un simbolo per esprimere il senso di un’accoglienza capace di coniugare sicurezza e solidarietà, il simbolo per fermare un’emorragia di umanità. Rosse, come il vestito del piccolo Aylan spiaggiato, morto in mare come tanti altri bambini caduti da imbarcazioni di fortuna al seguito del miraggio di mamma e papà, la fuga dagli orrori e la speranza di una vita migliore. Simbolo di tutte queste tragedie. L’anonimo «cliccatore» dei «mi piace» o «non mi piace», quello che riversa bile sulla gente e sulle idee e su tutto ciò che ritiene diverso dal proprio credo, l’ha scritto su Twitter e chissà quanto gli dispiace non poter materializzare lo sputo, farlo diventare concreto, peccato doversi accontentare di uno schifo virtuale.

C’è da chiedersi dov’era prima tutta questa rabbia, prima di poterla indirizzare verso chiunque in qualunque luogo senza doverne rendere conto. Gran bella cosa davvero la barriera che separa dal prossimo, stando dietro uno può fare quel che vuole, dire quel che vuole, prendersela col prossimo senza assumersi alcuna responsabilità, senza dover rispondere delle proprie tendenze furiose. Diciamo rabbia, ma anche livore, frustrazione, arroganza, rancore, disprezzo, rapporti sociali fasulli, contatti con l’esterno nulli se non astratti, nemici come fantasmi.

Certamente queste pulsioni negative non sono nate adesso, ma adesso  la rete le amplifica e induce i più deboli all’emulazione. Libero sfogo in libera rete.

Voce grossa e tolleranza zero sembrano diventate ormai il passe par tout per ottenere rispetto. Eppure c’era un altro modo per ottenerlo. O ricordiamo male? D’altra parte la storia non è avara di stravaganze e cattiverie umane, solo che non erano di gruppo. Caligola, l’imperatore romano, pare amasse dire «oderint dum metuant», che mi odino purché mi temano. Deve dare una gran bella eccitazione sentirsi padroni di altri esseri umani. Se ci mettiamo poi che Caligola nominò senatore il suo cavallo e si fece anche proclamare dio, il quadro è completo e la storia resta sempre maestra di vita, come diceva Cicerone. O meglio, dovrebbe essere maestra di vita, ma non sempre lo è.

Animi in subbuglio, dunque, sfoghi senza controllo. Tensione alta, sempre. L’osservatorio di Amnesty International afferma che durante la scorsa campagna elettorale in una ventina di giorni è stato diffuso tramite Facebook e Twitter più di un messaggio offensivo e razzista all’ora, ovviamente amplificato poi dalla rete. Il bersaglio principale sono gli immigrati ritenuti una bomba sociale, in grado di portare la guerra in casa. Tra i vari insulti usati con una certa frequenza i preferiti sono «bestie» e «vermi».

Intanto sta succedendo quello che è sotto gli occhi di tutti. Un governo impegnato a bloccare porti, fermare navi e impedire soccorsi perché, dice, altrimenti sarebbe come soccorrere chi della migrazione approfitta soltanto per far soldi. E l’opinione pubblica? In buona parte d’accordo, in altra parte in disaccordo ma apparentemente senza la forza di metter fuori la testa, farsi sentire e agire di conseguenza, in altra parte ancora indifferente a tutto.

Eppure anche fra gli indifferenti c’è chi ha vissuto con grande apprensione la vicenda dei cinghialotti  - cercando notizie e particolari su ogni mezzo d’informazione, pregando per le loro vite, solidarizzando con i parenti in attesa, immedesimandosi nel dolore di chi attendeva all’esterno - ragazzini bloccati nell’ormai famosa grotta della Thailandia e portati in salvo da volontari specializzati in tecnologia e in grandissima umanità.
Tutto il mondo ad applaudire felice – e ci mancherebbe – per il buon esito finale. Tutto il mondo che avrebbe pianto, è da supporre e da sperare, per un esito nefasto.

Benvenuta solidarietà. Non risulta però che le stesse emozioni abbiano coinvolto con trepidazione generale gli animi per le vicende dei bambini in balia dei barconi che alla fine, capovolgendosi, li hanno rovesciati in mare. A parte chi in silenzio ha provato compassione e chi ha indossato la maglietta rossa, un gesto simbolico non molto apprezzato, come si diceva, e non soltanto dal popolo dei social. Forse perché non è piaciuto il colore (più di moda il verde? o il giallo?). O perché è più facile essere attratti dal modo in cui vengono illustrate le disgrazie altrui più che dal contenuto? Certo la suspense e la spettacolarizzazione aiutano.

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