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Liliana Segre: storia di una sopravvissuta/1

di Luigi Sardi

“Oggi sono particolarmente emozionata di fronte al ruolo che in questa giornata la sorte mi riserva. In questo mese di ottobre nel quale cade il centenario della Marcia su Roma, che dette inizio alla dittatura fascista, tocca proprio ad una come me assumere momentaneamente la presidenza di questo tempio della democrazia che è il Senato della Repubblica. Ed il valore simbolico di questa circostanza casuale, si amplifica nella mia mente perché, vedete, ai miei tempi la scuola iniziava in ottobre; ed è impossibile per me non provare una sorta di vertigine ricordando che quella stessa bambina che in un giorno come questo del 1938, sconsolata e smarrita, fu costretta dalle leggi razziste a lasciare vuoto il suo banco delle scuole elementari, oggi si trova per uno strano destino, addirittura sul banco più prestigioso del Senato”.

Era il 13 ottobre del 2022, Roma, Palazzo Madama. Il popolo del Senato sorpreso, stordito da quella affermazione - e c’è da credere che qualcuno poco sapesse della cupa tragedia delle leggi volute dal Duce del fascismo - era balzato in piedi in un applauso tanto intenso che sembrava squarciare il velo dell’oblio, turpe anche quello, sceso per il tanto tempo trascorso su un altro applauso: quello tributato dalla stragrande maggioranza degli Italiani che in quel lontano 1938 avevano osannato Benito Mussolini il padre-padrone della legge vergognosa sulla razza.

Il corale tributo di rispetto è, e resta, una data destinata ad entrare nella storia con la presidente della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello a dichiarare all’Ansa: “L’intervento del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel ricordare il rastrellamento degli ebrei di Roma, è apprezzabile e significativo. È importante per il Paese ritrovarsi uniti e concordi nel giudizio storico di condanna all’ideologia fascista. Così è attuale e rilevante l’impegno contro l’antisemitismo, che è pericolosamente in crescita e su cui è necessario mantenere la vigilanza alta”.

Concluso il suo discorso Liliana Segre si era alzata per proclamare il Presidente eletto, l’avvocato Ignazio Benito La Russa. Ecco lo “strano destino” che aveva attraversato il tempio di quelli che un tempo erano definiti “Padri della Patria”. E quel La Russa era stato nel trapassato remoto - era il marzo del 1973 - uno dei capi del Fronte della Gioventù di Milano, “i camerati in Loden” di Piazza San Babila, quelli de “il Fronte”, il braccio giovanile e violento del Movimento Sociale italiano. Avevano come simbolo la fiamma tricolore, discendevano dal fascismo e avevano come “condottiero” il giornalista Giorgio Almirante già funzionario del regime durante la Repubblica Sociale italiana dove ricoprì la carica di capo di gabinetto al Ministero della Cultura Popolare, il MinCulPop. Ma c’ è di più: leader del Msi, in vero molto presente a Trento e che trascorreva le vacanze a Levico in Valsugana dove, come maggiordomo, aveva assunto il pluriomicida Aldo Garollo tornato in libertà dopo 30 anni d’ergastolo, era stato dal 1940 al 1942 segretario del comitato di redazione della rivista antisemita “La difesa della razza” che nel 1938 pubblicò il Manifesto della Razza.

Con quella pubblicazione Almirante collaborò fin dal primo numero. Il 5 maggio 1942 il futuro segretario del Msi scriveva sulla rivista: “Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza. Il razzismo nostro deve essere quello del sangue, che scorre nelle mie vene…” e dopo una disquisizione, in vero dotta, sul sangue che scorre nelle vene, nei muscoli, nello spirito, l’avvertimento: “Altrimenti finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei che, come hanno potuto in troppi casi cambiar nome e confondersi con noi, così potranno, ancor più facilmente e senza neppure il bisogno di pratiche dispendiose e laboriose, fingere un mutamento di spirito e dirsi più italiani di noi, e simulando di esserlo, riuscire a passare per tali”. Insomma, un po’ meno dell’ideologia dei nazisti che copiarono il fascismo, in vero sempre genuflesso ai padroni in Camicia Bruna di Berlino.

I tedeschi di quell’epoca vocati alla croce uncinata, sostenevano la visione di una razza germanica dominante, che avrebbe reso sudditi e quindi governato gli altri popoli, in particolare gli Slavi; credevano che una razza superiore avesse non soltanto il diritto, ma anche l’obbligo, di sottomettere e persino sterminare quelle inferiori e definirono questa loro visione come una crociata per salvare le civiltà occidentali dai “barbari orientali e dagli ebrei che sono colpevoli di organizzarli e guidarli”. E gli ebrei avevano un'altra colpa: quella di aver contribuito con i loro capitali raccolti in America a sconfiggere la Germania nella Grande Guerra. Era stato Fabio Fazio in una straordinaria trasmissione televisiva, che aveva incuriosito e commesso gli Italiani, anche quelli che conoscono abbastanza quella storia, a portare liliana Segre - e qui riporto integralmente lo scritto della Rai - alla stazione di Milano, “in quel luogo nascosto, il Binario 21, da dove il 30 gennaio del 1944 partì il treno che condusse la tredicenne Liliana al campo di sterminio di Auschwitz, insieme ad altre 604 persone, fra cui suo padre Alberto, da dove a guerra finita, fecero ritorno in 22. Ed è da quel sotterraneo” - il binario è sotto il piano del ferro della stazione - “che la Senatrice a vita, accompagnata da Fabio Fazio, riapre il cassetto della memoria al pubblico di Rai 1 e ripercorre la storia di quella terribile giornata del 1944, per un testimonianza emozionante e personale, che diventa racconto civile collettivo. Un viaggio indietro nel tempo per rendere visibile a tutti, un luogo normalmente invisibile e per ricordare una delle vicende più nere delle pagine della storia dell’uomo e che non deve mai essere dimenticata”.

Questo il breve, coinciso però completo comunicato trasmesso dalla Rai, annunciava un eccezionale lavoro giornalistico: l’intervista a quell’ anziana, ma non vecchia signora, in quel sotterraneo davanti ai carri merci che rapirono migliaia di italiani per un viaggio senza ritorno nell’ orrore di quei campi dominati dalla scritta Arbeit Macht Frei l’insegna sulla porta dell’Inferno. Fazio l’accompagna, la sorregge, l’incoraggia perché quel ritorno al passato è davvero duro; l’intelligenza, l’affetto, la curiosità e l’emozione di Fazio fissa, consegnandola a tutti gli italiani, una pagine di storia che non può essere dimenticata. Ancora da quella trasmissione, che resta un’eccellenza giornalistica: “Questo binario segna uno dei punti di non ritorno più tristi e macabri della storia. Era proprio al Binario 21 che venivano condotti uomini, donne e bambini italiani di origine ebrea, spinti in quel sotterraneo lontano dagli occhi dei civili dove al buio fra urla, spintoni e insulti, venivano stipati e richiusi in carri merci”. Dalla voce della Senatrice: “Arrivammo in questo posto buio, non capivamo niente. Ci spinsero dentro al treno a calci e pugni, ci sputarono, era qualcosa che andava al di là dell’immaginazione più spaventosa. La gente piangeva, si disperava”.

(1. Continua)

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