Il virus e noi: la testimonianza dal campo di due dottoresse «Resistere, con pazienza e altruismo»

Il virus e noi: la testimonianzadal campo di due dottoresse«Resistere, con pazienza e altruismo»

Sars-Cov2 è una brutta bestia dalle mille forme compresa quella paucisintomatica, per cui può capitare di esporsi al contagio senza rendersene conto.

E così è successo perché il mio tampone, insieme a quello della collega che mi affianca, è risultato positivo.

Lunedì scorso sono stata sputata fuori dal vortice. Lo scopro alle 23 e sveglio mio marito che già da 10 giorni dorme con i bambini in un'altra stanza (dobbiamo minimizzare il rischio). Cominciano le domande. Me ne vado o resto in camera? Come faccio con l'ambulatorio? Saremo stati sufficientemente attenti con i nonni? Avrò contagiato qualcuno? I pazienti come faranno? Come posso lasciare altro carico ai miei colleghi? Un sostituto lo troverò? E il colpo finale: i bambini? Già a marzo hanno stravolto la loro routine: niente scuola, niente coccole coi nonni, mamma a distanza e sempre con mascherina (al lavoro quella FFP2 e a casa quella chirurgica - l'anidride carbonica non mi ha uccisa!). Il papà è sempre riuscito a sostenere tutto e tutti.

La mattina successiva parliamo con i bambini (5 e 8 anni) che, in prima battuta, si spaventano ma poi capiscono e si adeguano, rispettosi delle nuove regole del gioco. La giornata passa veloce, devo organizzare i prossimi 10 giorni e per oggi non ho nessuno che possa stare in ambulatorio al posto mio. Mi collego da remoto all'ambulatorio e cerco di risolvere quanto più possibile con computer e telefono. La mia fidata sostituta si organizza e da mercoledì è pronta ad aiutarmi.

Ora ho tempo per pensare, anche troppo, non sono abituata a questa tranquillità; di solito esco la mattina, porto i bambini a scuola, vado in ambulatorio, poi le visite domiciliari, recupero i bambini, finisco da casa di rispondere alle mail e alle telefonate della giornata, in qualche modo prepariamo la cena e poi a letto, stremati.

Mi sento piuttosto inutile e di peso, avrei mille cose da fare, alcune le posso rimandare, altre no e quindi devo chiedere aiuto a chi già è sotto pressione.

Prima di farmi prendere dall'ansia riesco a fare una considerazione: sono fortunata. Prima di tutto sto bene e non ho sintomi preoccupanti, i miei bambini sono molto maturi e riescono ad affrontare questa prova meglio di tanti adulti, mio marito è (quasi) perfetto, i miei genitori che abitano al piano di sotto stanno bene e i nonni da parte del papà a malincuore non li vedevamo da un po' per evitare il contagio.

Anche nel lavoro sono fortunata perché i colleghi del mio gruppo sono subito pronti a farsi carico anche dei miei pazienti e la sostituta pure. Le segretarie, benché stravolte dalla quantità di telefonate che stanno ricevendo, si adoperano a riorganizzare i prossimi giorni. Non conto più i messaggi del resto della squadra: medici e infermieri con cui lavoro tutti i giorni che si preoccupano e si offrono di aiutare me e anche la mia famiglia.

Pensare a tutto ciò rende più semplice quello che dovrò fare nei prossimi giorni: portare pazienza.
Pazienza: disposizione d'animo, abituale o attuale, congenita al proprio carattere o effetto di volontà e di autocontrollo, ad accettare e sopportare con tranquillità, moderazione, rassegnazione, senza reagire violentemente, il dolore, il male, i disagi, le molestie altrui, le contrarietà della vita in genere.

Non è facile ma posso allenarmi.

Questa mattina mi chiama la mia amica e collega Vittoria e capisco subito che la velocità del vortice è aumentata. In questa settimana i contagi sono incrementati in maniera esponenziale, abbiamo due segretarie ammalate, sono arrivati i vaccini per i pazienti con più di 65 anni, ma non quelli per i pazienti più giovani, la centrale Covid è in affanno ed è in ritardo nel tracciamento dei casi, il laboratorio è sovraccarico di tamponi da analizzare e le risposte tardano ad arrivare.

I pazienti sono sempre più arrabbiati. Hanno perso la pazienza e riversano la loro frustrazione sugli altri, attribuendo la colpa al primo interlocutore che gli capita a tiro.

Ecco allora che la nostra segreteria è composta da incapaci, che volutamente non rispondono al telefono, che vogliono tagliar corto e non si dilungano in spiegazioni.

Poco importa che siano sotto organico e comunque riescano a rispondere a più di 500 chiamate al giorno, più le richieste al bancone, più le email.

Il sistema sanitario è inadeguato perché non è possibile che non vengano fatti tamponi a tutti, possibilmente in tempo rapidissimo e che si debba per questo ricorrere al privato.

Poco importa se nell'esecuzione di un test, come in tutte le prescrizioni mediche, ne vada sempre valutata l'appropriatezza, pena esiti falsamente tranquillizzanti. Tutto questo ha un costo - tralasciamo quello economico - soprattutto in termini di risorse di tempo e umane, che purtroppo non sono infinite.

Noi medici non abbiamo prestato attenzione alle necessità di vaccinarsi per l'influenza di soggetti che negli altri anni avrebbero rifiutato con forza la nostra proposta; qualcuno arriva ad insinuare che abbiamo fatto apposta a lasciarli senza, sottintendendo chissà quali favoritismi se non addirittura loschi traffici. Poco importa che non ci siano stati forniti i vaccini e che le ragioni di questo ritardo abbiano origine a livelli ben più alti dei nostri, che di fatto siamo puri esecutori.

Io addirittura mi sono permessa di andare in ferie, lasciando senza risposta i bisogni dei miei pazienti, orfani del certificato per la palestra e del check up annuale «che mica mi sarà salito il colesterolo?».

Poco importa che sia in realtà a casa perché contagiata mentre rispondevo proprio ai bisogni di chi stava male per davvero e altrettanto poco importa che al mio posto sia comunque presente un'altra professionista perfettamente in grado di gestire la situazione.

Potrei continuare a lungo, ma credo sia chiaro il concetto.

È un momento tragico per tutti, il mondo intero è stravolto e a questo ci dovremo adattare, nuove regole e nuovi equilibri, forse peggiori o forse no.

Se penso a chi sta lavorando per tentare di arginare i danni di questa pandemia, mi viene in mente una qualità, l'altruismo. Viva inclinazione, amore verso il prossimo, che si traduce in un'attiva partecipazione alla risoluzione di problemi, difficoltà, necessità altrui. O se vogliamo l'atteggiamento di chi orienta la sua opera verso il fine di raggiungere il bene altrui (o, se si preferisce, di trovare il bene proprio nel bene altrui).

Mantenendo un atteggiamento pragmatico se tutti noi, prima di lamentarci dei disservizi, incolpare gli altri dei disagi e considerare le difficoltà insormontabili, valutassimo con attenzione la reale urgenza e necessità delle richieste che facciamo, potremmo forse ridurre il carico del sistema intero. Come professionisti siamo abituati a valutare quanto una nostra prescrizione sia appropriata certamente dal punto di vista clinico, ma anche da quello dei costi (non solo economici sia chiaro) che lo stesso determina sul sistema sanitario.

In questo particolare momento tale modalità di pensiero deve diventare ancora più incalzante, non solo per noi ma anche per tutti i pazienti, che caldamente invito a riflettere prime di richiedere al proprio medico delle prestazioni che potrebbero attendere qualche tempo.

Venerdì faremo un altro tampone per uscire dalla nostra quarantena e, se tutto va bene, lunedì risalterò nel vortice. Speriamo non giri troppo veloce.

Giulia Berloffa, Vittoria Facchinelli
Medicina di gruppo Trento

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