Pfas, quelle sostanze che ci avvelenano

Pfas, quelle sostanze che ci avvelenano

di Andrea Tomasi

«Se un contadino è in grado di alzarsi e urlare la verità e se noi siamo capaci di ascoltarlo, allora cambiare il mondo è possibile». Ha un grande rispetto per chi conosce e ama la terra Robert Bilott. Li conosce i contadini ed è grazie ad uno di quegli agricoltori che non hanno voluto tenere la bocca chiusa se oggi il mondo è un po’ migliore.

Lo dice l’avvocato americano Bilott, dello studio Taft Stettinius e Hollister di Cincinnati, famoso per la sua battaglia contro il colosso della chimica DuPont, che ha avvelenato il terreno e l’acqua. I veleni si chiamano Pfas. Sono sostanze perfluoroalchiliche, impermeabilizzanti tanto utili (vengono usati per l’abbigliamento sportivo, per le pentole antiaderenti, per le schiume antincendio, il materiale plastico, i fertilizzanti) quanto pericolosi, se rilasciati nell’ambiente.

Sono ovunque, attorno a noi e dentro di noi. Non occorre andare oltreoceano per fare i conti con queste sostanze dal nome impronunciabile, che causano cancro, infertilità femminile, sviluppo anomalo dell’apparato maschile dei bambini, danni al cervello. Nel vicino Veneto una società simile alla DuPont, la Miteni con sede a Trissino, ha contaminato una falda acquifera grande come il Lago di Garda. Parliamo di acqua che non si può più bere, se non trattata con dei filtri speciali, installati dalla Regione Veneto, corsa ai ripari dopo anni di avvelenamento. L’acqua è stata bevuta per anni, la gente ci si è fatta la doccia. Veniva usata per irrigare le piante e per abbeverare il bestiame.

Il problema riguarda la popolazione delle province di Vicenza, Padova e Verona: 350.000 persone, destinate a diventare 800.000, stando alle proiezioni, perché la falda si muove. E poi - senza considerare che ci sono zone in cui l’unica acqua disponibile è quella di pozzo, quindi non filtrata - c’è la questione della filiera alimentare. La verdura, la frutta, il latte, la carne, il vino prodotti in quelle aree vengono esportati nelle altre regioni, in Europa, nel mondo. Al momento, in tribunale a Vicenza, si sta celebrando il processo a 13 ex manager della società, oggi in fallimento. A chi dice che di qualcosa si deve pur morire (possibilmente non da bambini) ecco un altro elemento da aggiungere alla lista. Citando nuovi studi scientifici, Robert Bilott spiega che i Pfas ci rendono «più deboli nella battaglia contro il Coronavirus, indeboliscono il nostro sistema immunitario e ci rendono meno reattivi ad un eventuale vaccino anti-Covid». Ce n’è abbastanza per preoccuparsi. Sui Pfas, con Michele Moser e Luciano Happacher (Wasabi Filmakers di Trento), ho realizzato una videoinchiesta («Pfas, quando le mamme si incazzano») che racconta la battaglia in difesa di ambiente e salute del gruppo Mamme No Pfas. Di questi inquinanti perfetti (inodori, incolori, insapori) si parla pochissimo. Qualche tempo fa ho fatto una prova. Sono entrato in un negozio di alimentari che vende soprattutto prodotti biologici e ho chiesto ai titolari se conoscevano i Pfas. Mi hanno guardato con l’espressione della mucca quando passa il treno. Silenzio e poi: «No, ma i nostri prodotti non vengono da quelle zone...». Grazie e arrivederci.

L’agricoltura è co-protagonista (nel ruolo di vittima insieme a tutti noi consumatori) di un dramma silenzioso. Ventidue anni fa il contadino Wilbur Tennant portò le foto e i filmati del suo bestiame, ucciso dai veleni della società DuPont, all’avvocato Robert Bilott, che in quelle campagne era cresciuto. La storia di questa battaglia giudiziaria, fatta con lo strumento della class action, è raccontata nel film «Cattive Acque». «Vogliono farci credere che ci proteggono, ma noi dobbiamo proteggerci da soli» urla, disperato, l’attore Mark Ruffalo nel film «Cattive Acque», nel ruolo dell’avvocato Bilott. È una storia vera e drammatica, quella raccontata nella pellicola di Todd Haynes. Robert Bilott oggi continua la sua battaglia e - citando le analisi fatte dalla sua equipe dello studio Taft e quelli raccolte dal gruppo Ewg - mette in guardia dai pericoli di questi prodotti chimici e parla delle connessioni col Covid e delle analogie tra il caso americano e quello veneto.
Spiega che, dal suo punto di vista, la situazione di allarme per il Covid-19 farà aumentare la preoccupazione per la contaminazione da Pfas. «Pensiamoci un attimo. Quando la gente parla del virus si riferisce alla possibilità di esserne contagiata. Invece, per quanto riguarda le sostanze chimiche di cui parliamo, abbiamo la certezza della loro presenza nell’acqua e nel nostro sangue. Il Covid-19 ce lo possiamo prendere. I Pfas sono già dentro di noi e queste sostanze incidono sulle nostre difese naturali ai virus. Ci sono studi che dimostrano come i Pfas indeboliscono il nostro sistema immunitario, che invece dovrebbe essere incredibilmente forte nella battaglia contro il Coronavirus e tutti i virus. Ora, in questa emergenza planetaria da Covid-19, dovremmo chiederci a quali rischi ci stiamo esponendo e stiamo esponendo le nuove generazioni». Negli Usa, dopo le cause milionarie, nel 2006, su base volontaria le grandi società chimiche hanno iniziato a smettere di utilizzarli, «ma sono passate a prodotti correlati, come il GenX».
«La DuPont è andata a processo nel 2015 quando abbiamo sollevato e portato avanti tre casi di persone che si sono ammalate di cancro». Nel 2017 si è arrivati a 3.500 cause individuali e la compagnia ha finito per patteggiare (670,7 milioni di dollari). Da quel momento, da quel primo successo giudiziario, ci sono state però altre migliaia di persone in tutto l’Ohio e nella Virginia Occidentale a cui è stato diagnosticato il cancro. La DuPont sta dando battaglia. Alcuni di quei casi sono stati archiviati, altri sono ancora pendenti e altri ancora sono stati sollevati in tutta la nazione. «Alcune cause giudiziarie ora vengono intentate dalle società che forniscono l’acqua potabile. La gente ha capito che i Pfas non venivano usati solo per il teflon delle pentole antiaderenti e le schiume antincendio. Sono stati usati per quasi tutto». Sull’Italia - dove un ruolo di primo piano lo ha giocato Greenpeace, che ha fatto due esposti alla Procura della Repubblica di Vicenza - Bilott dice questo: «Questa contaminazione, realisticamente, da voi si è diffusa nei campi agricoli e quindi nel sangue delle persone. So che sono stati fatti dei prelievi. Ho visitato il Veneto nel 2017 e ho incontrato quelle comunità. La contaminazione riguarda il 99% della popolazione mondiale. Ovviamente in un’area come quella veneta i livelli sono molto più alti che altrove». E la bonifica? L’avvocato, autore del libro «Exposure», cita il caso DuPont: «Come possiamo ripulire se il governo non ci dice qual è il livello di sicurezza nelle colture? C’è il rischio concreto che non si riesca a rimuovere alcunché. So che in Veneto da quegli impianti le sostanze sono state rilasciate nell’ambiente per molti molti anni. È difficile dire se voi, con le vostre leggi, potrete ottenere gli stessi risultati che abbiamo ottenuto qui».

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