Anche gli insegnanti imparano cose nuove

Anche gli insegnanti imparano cose nuove

di Eliana Agata Marchese

«Mamma, ma adesso è il Coronavirus che comanda?». Luciano me lo chiede all’improvviso. Fino a due mesi fa i momenti più insidiosi erano i tragitti in macchina. I miei figli hanno sempre approfittato dei semafori per lanciare con noncuranza le domande più spinose.

Da due mesi non attraversiamo più incroci: in macchina non ci possiamo andare, tantomeno in gruppo. Cantare mentre guido, insieme ai bambini, è tra i piaceri che mi mancano. In quarantena il nuovo spazio-verità è la scrivania del soggiorno. Io al computer, il figlio di turno (giacché il posto è molto ambito) al mio fianco, oppure sull’altro lato, a studiare o disegnare. Non sono impegnata a dare la precedenza, ma l’imbarazzo è lo stesso: alla domanda di Luciano non so cosa rispondere.

Di sicuro a comandare non siamo noi, visto che non abbiamo più voce in capitolo nemmeno sulle libertà più piccole.
Si moltiplicano task force (detto in inglese fa più “professionale”), gruppi di esperti, eminenti scienziati (senza figli piccoli, immagino, perché dimenticano regolarmente le famiglie), ma stabilire “chi comanda” è davvero arduo. Forse è davvero il virus, che nei disegni di mio figlio ha sempre la corona, come un re. Non ho ancora capito quando il virus incoronato ci permetterà di uscire per andare dove vogliamo e con chi ci pare, ma intanto guardiamo con fiducia alla fase 2: parco, cibo da asporto e congiunti senza assembramenti. Nel nostro caso è impossibile, a meno che non porti dai nonni un figlio alla volta, magari mostrandolo dal finestrino dell’auto per tenere le distanze.

Anche gli studenti sono incuriositi dalla fase 2. Primo collegamento della mattina, lezione di italiano. Apro la stanza virtuale e mi trovo nel bel mezzo di una discussione scoppiettante: «Speriamo cha la gente non si riversi in strada in massa, altrimenti i contagi saliranno» osserva un ragazzo. «Davvero - risponde una ragazza - io ho paura che la gente sottovaluti le nuove norme». Si aggiungono altri due, quasi in coro: «Ma no, chi ha rispettato le regole continuerà a farlo. Saremo tutti responsabili». Riduco il vivace dibattito ai toni della lezione. Oggi parliamo di letteratura medievale. Spiego il senso della tenzone, ovvero la sfida a colpi di poesie, da cui anche Dante si faceva coinvolgere.

«Ah - chiosa un alunno - è un dissing». Mi fermo un attimo: questo termine non l’avevo mai sentito. Prosegue lui: «Prof, un dissing è una sfida musicale fra rapper». Segno la nuova parola in agenda e proseguo. A metà del collegamento ci prendiamo una pausa caffè, perché più di un’ora incollati al video non si regge. Blocco il microfono, mi allontano un attimo, torno. Appoggio la mia tazzina vicino al monitor. È la quarta della giornata. Lampeggia sullo schermo il viso di una ragazza: «Prof, invece del caffè dovrebbe provare il frappuccino al caramello: da Starbucks è buonissimo. Ma faccia attenzione, perché quello che si vende online non è lo stesso dei locali». Scrivo anche quest’appunto. Il mio cuore è tutto per l’espresso senza zucchero, ma nella vita non si sa mai. Interviene un’altra studentessa. Sorride: «Prof, praticamente oggi è stata una lezione per lei, non per noi». Certo, ragazzi. È sempre una lezione anche per l’insegnante.

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