Il sequestro Moro/18

Il sequestro Moro/18

di Luigi Sardi

Nella notte fra il 21 e il 22 aprile di 42 anni fa Papa Paolo VI scrisse il famoso appello alle Brigate Rosse e al mattino di buon’ora  lo lesse ai suoi consiglieri accettando alcune correzioni proposte da don Cesare Curioni, già cappellano del carcere milanese di San Vittore, all’epoca ispettore generale del cappellani carcerari. Aldo Moro era rinchiuso nella “prigione del popolo” dal 16 marzo, i brigatisti lo avevano condannato a morte, però lasciando un vistoso spiraglio: lo scambio con tredici “prigionieri comunisti” fra i quali e, forse, soprattutto, Renato Curcio e Alberto Franceschini i due capi fondatori delle Br.

Quella lettera che comincia con “Io scrivo a voi, uomini delle Brigate Rosse” era il culmine di una breve, intensa, segretissima trattativa fra la Repubblica italiana e il Vaticano. Aveva sorpreso quell’ “uomini” ripetuto tre volte, al posto del “criminali”, oppure “belve” comunque “spietati assassini” come venivano chiamati i brigatisti dalla totalità della stampa nazionale. Lettera breve, intensa, che non interferiva nella posizione del Governo ma che frantumò ulteriormente il mondo della politica dividendo in maniera ancora più netta il popolo italiano preso fra falchi e colombe, fra chi voleva la trattativa e chi – convinto che Moro non sarebbe  stato ucciso – era per la fermezza nel nome dei principi dello Stato.
Quel 22 aprile era un sabato; soprattutto al nord il popolo della sinistra preparava la Festa della Liberazione e quello delle destra capeggiato dai reduci della Repubblica di Salò si apprestava alle messa da requiem per Benito Mussolini e i Caduti delle armate fasciste quando a Roma, alle 12.30,  “L’Osservatore Romano” uscì in edizione straordinaria riportando in prima pagina e con grande rilievo tipografico l’ appello autografo del Pontefice. Dal momento dell’ uscita del giornale e per sei volte, la Radio Vaticana trasmette il testo dell’appello di Paolo VI che tradotto in venti lingue venne diffuso in tutto il mondo, riprodotto nelle edizioni straordinarie di tutti i quotidiani e ampiamente diffuso dalla televisione.

“Appello del Papa ai terroristi per Moro – Scaduto l’ultimatum le Br tacciono”. Quel titolo domina le prime pagine dei giornali e l’impressione in un’Italia che guarda sempre con fervore le iniziative dei pontefici è enorme. “Io scrivo a voti, uomini delle Brigate rosse: restituite alla libertà, alla sua famiglia, alla vita civile l’onorevole Aldo Moro. Vi prego in ginocchio liberate l’onorevole Moro semplicemente senza condizioni, non tanto per motivo della mia umile ed affettuosa intercessione, ma in virtù della sua dignità di comune fratello in umanità” e quel immaginare il Papa “in ginocchio” mentre di fronte a lui si inginocchia tutto il mondo cattolico aveva frastornato credenti e laici. E non basta: la frase che conclude il messaggio è, forse, ancora più dirompente: “Uomini delle Brigate rosse, lasciate a me interprete di tanti vostri concittadini, la speranza che ancora nei vostri animi alberghi un vittorioso sentimento di umanità. Io ne aspetto pregando, e pur sempre amandovi, la prova”. Insomma il Pontefice diceva di “amare” quel pugno di assassini.

Sono ore di ansia, di tormento, di domande. “Dov’è l’Italia”, si legge nell’articolo di fondo di Gianni Faustini direttore del giornale Alto Adige, “conosciuta ed amata per la sua mitezza, per la sua tolleranza, per l’umanità della sua gente?  Stiamo tutti pagando le conseguenze terribili della degenerazione dell’odio, stiamo tutti tradendo – come ha detto Paolo VI – l’insegnamento di amore del Vangelo, dove però si legge anche che tutti quelli che mettono mano alla spada, periranno di spada. Certo, lo Stato debole di oggi non può richiamarsi alla spada che non ha”. Poi la frase: “La fermezza deve essere sorretta dalla speranza”.

L’appello del Pontefice viene accolto con “commosso e profondo ringraziamento” dal segretario della Dc Zaccagnini e da Nicola Rana il segretario particolare di Moro divenuto, dal momento del rapimento, portavoce della famiglia. Dal canto suo Alessandro Natta, presidente del deputati comunisti dichiara di “apprezzare le elevate parole e la preghiera del Papa a liberare Moro semplicemente e senza condizioni”. Negli anni successivi, nel 1984, si accennò ad una trattativa fra il Vaticano e le Br e di un’ offerta ora indicata di 10, o di 30, o di 50  miliardi di lire. Forse Paolo VI mostrò ai suoi segretari quella somma. Sarebbe stata rifiutata dai brigatisti contrari a qualsiasi monetizzazione. Loro si credevano rivoluzionari; mai si sarebbero abbassati ad un intrallazzo imperniato sul denaro borghese. Il solo riscatto possibile poteva essere la scarcerazione dei compagni detenuti e il riconoscimento, meglio la legittimazione politica, delle Br.

Ma quel rivolgersi ai brigatisti chiamandoli “uomini” non era piaciuto almeno ad una parte della Curia vaticana e così domenica 23 aprile Polo VI rivolgendosi ai quindicimila fedeli radunati in Piazza San Pietro, dopo la consueta recita dell’Angelus, aveva detto: “Di Aldo Moro nessun’altra notizia. Abbiamo trepidato, ieri, alla scadenza dell’ora fissata dagli anonimi autocostituitisi giudici unilaterali e carnefici. Anche noi partecipiamo con trepidazione alla vicenda dolorosa che tiene in sospeso questa amata città di Roma, nostra diocesi, e tutta l’Italia”. Ecco, gli “uomini” diventano “carnefici” e il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti annota: “Il Papa chiama gli uomini delle Br carnefici. Tiene forse conto di quanti, in Vaticano hanno ritenuto eccessivo il suo precedente appello”. Insomma, un’ autorevole conferma che nelle segrete stanze vaticane c’erano posizioni contrastanti attorno al tema della trattativa. Alcuni anni più tardi, tornata in libertà, la brigatista Barbara Balzerani dirà che “il messaggio del Pontefice era quasi provocatorio. Alle Br che dicevano di essere in guerra, che volevano la distruzione della Democrazia Cristiana, chiedeva un atto di carità; a loro che volevano il comunismo proponeva in cambio la redenzione… Era uno scherzo?” Conclude la Balzerani: “Le parole di Papa Giovanni Montini sortirono l’unico effetto di deprimere Moro più di ogni altra notizia [giunta] dall’esterno”. I brigatisti rifiutarono qualsiasi trattativa di tipo umanitario; erano in campo per ragioni militari e politiche e il confronto doveva avvenire direttamente con il Governo e con la Dc.

I testimoni di quei giorni ricordano la lacerazione fra gli italiani. Nessuno diceva apertamente che Moro doveva essere ucciso, salvo qualche slogan gridato nei cortei che si susseguivano mentre le Br continuavano a sparare e ferire e due volte uccidere: la maggioranza, arcistufa di quella guerra civile voleva la liberazione dell’ostaggio e chi s’aggrappava alla ragion di Stato aveva la convinzione che il prigioniero non sarebbe stato ucciso con un colpo alla nuca, come fecero i nazisti a Roma, alle Fosse Ardeatine. E quel paragona fece davvero venire i brividi, soprattutto alla gente dell’ultrasinistra. I brigatisti come le “ss” di Kappler? Che vergogna.

Già il 19 aprile “Lotta Continua” il quotidiano – come scrisse Leonardo Sciascia – “della sinistra a sinistra del Pci” aveva pubblicato un appello per la liberazione di Moro firmato oltre che da esponenti della sinistra più a sinistra (anche da Dario Fo divenuto famoso per la ballata di Pinelli), da vescovi, intellettuali laici e  cattolici tra cui Raniero La Valle, (cattolico eletto senatore nelle liste del Partito comunista: dalla sua elezione nacque il termine cattocomunista) e persino da due comunisti di prestigio come Umberto Terracini e Lucio Lombardo Radice. Ma le Brigate Rosse mettono anche questo nel mazzo degli appelli rivolti loro da alcune personalità del mondo borghese ed alcune autorità religiose”, e fra queste c’è anche il Papa, “e invitano coloro che l’hanno firmato a rivolgere analogo appello alla Democrazia Cristiana e al suo governo per la liberazione dei tredici detenuti comunisti” fra i quali c’è quel Cristoforo Piancone che l’11 aprile a Torino era nel gruppo di brigatisti che aveva ucciso l’agente della polizia penitenziaria Lorenzo Cutugno. Inoltre la sinistra extraparlamentare legale era apertamente contraria all’uccisione di Moro paventando una vasta repressione nel caso in cui l’omicidio fosse stato eseguito. Comunque si era certi che la trattativa sarebbe andata a segno; dal canto suo il Presidente della Repubblica Giovanni Leone disse di avere “la penna pronta e l’animo disposto”.  

Di certo la lacerazione maggiore era a Piazza del Gesù. “Smentita a tutti i livelli, contraddetta dalle prese di posizione ufficiali di tutti, le notizie su possibili trattative segrete tendenti ad ottenere in qualche modo la liberazione dell’onorevole Moro… dimostrerebbero l’esistenza di un canale che qualcuno avrebbe già individuato nel Vaticano” con il vice segretario della Dc Granelli a dire: “Bisogna respingere il ricatto, ma nulla deve essere lasciato intentato, senza cedimenti inammissibili, per salvare una vita” e intanto si continuava a domandare se era necessario aggiungere a quei cinque morti, quegli uomini della scorta massacrati, un sesto morto. Sempre dal Pontefice arrivano parole di conforto per i familiari degli agenti uccisi; dai palazzi del potere giungono cenni di speranza per una possibile trattativa attraverso il Vaticano mentre dalle segreterie dei partiti arriva la conferma che è stata “unanime la decisione di non accogliere qualsiasi trattativa. Tuttavia, riconfermata la ragion di Stato, molti sono stati coloro che non hanno ignorato l’aspetto umano della vicenda”. Ma si capiva che l’esecuzione della condanna a morte non poteva essere rimandata all’infinito. Il giorni dell’attesa erano contati.

(18. Continua)

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