Niente librerie, che delusione

Niente librerie, che delusione

di Eliana Agata Marchese

Sui social avevamo esultato: «Hai visto che riaprono?» Ho visto. «Secondo te ci si potrà andare?». Con le stesse regole dei supermercati, immagino. Guanti, mascherine, distanziamento. «Ma la fila in libreria è un’esperienza che voglio provare» aveva risposto la mia amica. Nulla di tutto questo.

Le librerie in Trentino non aprono. Non ho le competenze per valutare la decisione; può darsi che sia giusto così. Solo, mi piaceva l’idea che i libri fossero come il pane: necessari per sopravvivere nella pandemia. Avevo accolto con un certo sollievo anche la riapertura dei negozi per l’infanzia: come ogni terzogenito che si rispetti, Luciano è un bambino “low-cost” e indossa solo abiti smessi. Ma nella taglia 4-5 anni i pantaloni si consumano e si bucano di continuo: erano già lisi prima di arrivare a lui. Non ho mai imparato a rammendare e quindi avrei bisogno di comprargli qualcosa di nuovo. Dovrà invece accontentarsi di jeans strappati (che io gli spaccio per capi all’ultima moda) e calzini troppo piccoli.

Da quando la quarantena è iniziata lui è già cresciuto, ma per rinfrescare il guardaroba dovremo aspettare. I miei figli, comunque, non sentono la mancanza di abiti nuovi. Mentre Luciano continua a consumare le stesse salopette di terza mano, Caterina alterna stampe pro-resistenza partigiana e versi di De André: «Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior». Silvia è costantemente in bianconero: quando le chiedo di cambiare mi risponde che lo fa già, perché può scegliere fra la maglia di Dybala e quella di Ronaldo. Se potessero uscire, nessuno dei tre andrebbe in un negozio e nessuno avrebbe dubbi: la prima destinazione sarebbero i nonni. E dopo? «Dopo - risponde la maggiore - vorrei andare a scuola.

A scuola c’è tutto: si studia, ci si muove, si fa amicizia. E poi andrei in palestra: devo preparami per l’esame di judo». A me viene in mente che judo è uno sport di contatto, e chissà quando si potrà ritornare ad arrotolarsi sul tatami. Ma evito di dirglielo. Mi sta guardando e so che ha fatto lo stesso pensiero. Silvia vorrebbe tornare al parco acquatico dove abbiamo sempre festeggiato il suo compleanno. Chissà se per metà giugno si potrà anche solo pensare di tuffarsi in piscina. Luciano ha un orizzonte minore: a lui, per essere completamente felice, basterebbe il parco del sobborgo, ed in questo momento tutti i suoi sogni si riassumono in un’altalena. Quando è iniziata la reclusione stava iniziando a spingersi avanti e indietro da solo, muovendo le gambe. Ora invece ha imparato a pedalare all’entrata di casa, sulla bici con le rotelle: abbiamo raggiunto uno degli obiettivi della clausura.

Capita perfino che il vicinato si affacci al balcone: «Bravo Luciano, come vai veloce adesso!». Lui solleva impettito la fronte e poi mi chiede di fargli un video da mandare alla nonna, perché le grandi imprese danno più soddisfazione se c’è chi può gioirne con noi. Anch’io penso spesso a quando finalmente potremo allontanarci di casa senza compilare un modulo; mi accontenterei di accompagnare i miei figli alle destinazioni loro; è strano a dirsi, perché il ruolo del tassista mi è sempre pesato enormemente. Adesso invece mi manca stare in macchina, tutti insieme, la radio a volume altissimo e cantando forte. Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior.

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