Il sequestro Moro/15

Il sequestro Moro/15

di Luigi Sardi

La Val di Fiemme era il luogo prediletto di Moro. Il coro della Sosat molto apprezzato, la premiazione a Bellamonte del “Trofeo dell’ospite” un appuntamento fisso, la sosta nella chiesa per la quotidiana meditazione, una pia consuetudine. La gente lo vedeva volentieri come un compaesano e quando arrivò la notizia della strage e del rapimento ci fu sbalordimento.

Scrisse il giornalista Alberto Tafner sul giornale Alto Adige di quel venerdì 17 marzo di 42 anni fa: “Quelli di Predazzo e Bellamonte sono sbigottiti, indignati, addolorati; il presidente della Democrazia Cristiana era diventato un paesano dopo tanti anni di soggiorni strappati fra un impegno politico e una crisi di governo. Lo ricordo a passeggio lungo la campagna del tabià del mit, racconta Romano Dallasega un anziano contadino di Predazzo. Camminava sempre con passo veloce, assorto nei propri pensieri, seguito a distanza da tre o quattro guardie del corpo”.

Ecco il racconto di un sottufficiale della scuola alpina delle Guardie di Finanza. “Certo, ricordo benissimo alcuni uomini del servizio di sicurezza, sempre gli stessi da parecchi anni. Per esempio Leonardi che proveniva dai corpi speciali, era diventato l’uomo di fiducia e l’amico del presidente. Quasi ogni giorno, quelli della scorta venivano a consumare i pasti alla mensa della scuola. Cordiali, simpatici, ormai diventati amici, insomma commilitoni. Si pranzava, si beva il caffè, poi la sigaretta. Qualche volta c’era con noi anche padre Eusebio Iori, il nostro cappellano, con le saccocce del saio sempre piene di pacchetti di sigarette Astor e tanta simpatia. Poi tornavano al loro servizio… ma in questi boschi, fra questa gente, non c’erano né pericoli né seccature. Bisognava solo scegliere un percorso comodo, nella selva o lungo il torrente, meglio se c’era qualche panchina in una zona panoramica”. Moro camminava molto; si fermava a rimirare quelle montagne già viste, ma sempre nuove. A guardare il corso dell’Avisio, qualche capriolo attraversare, veloce, un radura , oppure ad ascoltare il frenetico battere del becco del picchio, il fruscio del vento, il verso del cucolo. Insomma, il comportamento di un escursionista arrivato nella valle per staccare dal frastuono delle grandi città e fuggire dallo smog che all’epoca tingeva di grigio le strade battute dal traffico.

Arrivava per Natale, per Pasqua, nell’estate quando Montecitorio e i palazzi della politica – quelli di Piazza del Gesù e di via delle Botteghe Oscure – chiudevano i battenti per la tregua d’agosto. Indossava sempre vestiti di una impeccabile eleganza inglese, la cravatta perfettamente annodata perché aveva una passione per le cravatte e i loro nodi. Una volta lo videro fumare una sigaretta, nessuno lo ricorda in un bar. Dalla caserma della Guardia di Finanza arrivava, di buon’ora, la mazzetta dei giornali e i messaggi trasmessi dalla telescrivente. “Si faceva di tutto per rispettare quella quiete che cercava e i turisti che incrociava lo salutavano senza fermarsi. E lui rispondeva con un cenno della mano” perché in quell’epoca ormai lontana nel tempo e nella memoria non c’era l’ossessione delle fotografie scattate a mitraglia con i telefonini.

Ecco un altro spezzone dell’articolo di Tafner: “Dolore, rabbia, costernazione affiorano dalle parole della gente di Fiemme. Ma anche la consapevolezza del momento gravissimo che l’intero Paese deve affrontare con coraggio, senza lasciare spazio ad isterismi e colpi di testa. Giacomo Boninsegna, trentenne sindaco democristiano di Predazzo, tiene in Municipio, sulla propria scrivania, un grande ritratto del presidente della Dc con una dedica nella quale si legge: Al Comune di Predazzo, con viva gratitudine per l’affettuosa ospitalità. Cordialmente, bene augurando. Aggiunge il sindaco: L’ho sempre visto pensieroso, non frequentava i locali pubblici, ma ha sempre dimostrato d’essere perfettamente a conoscenza dei problemi, anche dei più insignificanti, dell’amministrazione comunale della nostra borgata. Tanto è vero che è proprio grazie al suo interessamento se oggi la strada che porta a Bellamonte è stata sistemata e in certi tratti allargata. L’ho sempre visto assorto; gli seccava che qualcuno lo fermasse lungo la strada quando faceva le lunghe passeggiate. Quei setto, otto chilometri che percorreva ogni giorno di gran lena gli servivano per scaricarsi dalla tensione, per poter pensare in tranquillità, respirare l’aria frizzante della valle. Ma non mancava di chiedere notizie su cosa accadeva nel Trentino e soprattutto cosa succedeva all’Università di Trento, perché quei fatti lo preoccupavano molto. E’ rimasto nella sua casa fino al 7 gennaio; mi ha detto che si preparava al grande scontro; mi ha anche detto quel tornerò in febbraio non appena la crisi di governo sarà risolta”.

Aggiunge il segretario comunale Mariano Costa, che ogni sabato Moro si recava a messa nella chiesa dei santi Filippo e Giacomo per poi fermarsi sul sagrato a chiacchierare, a salutare. A Bellamonte, nei primi giorni di marzo, la casa era stata riaperta, c’era la figlia Maria Fida, tornata immediatamente nella Capitale. Resta il custode Guido Degaudenz, amico personale del parlamentare, a ricordare con mestizia che “Moro i primi anni li ha trascorsi a Bellamonte, nel mio albergo e la casa l’ha costruita proprio qui vicino” e con il braccio indica un edificio a due piani che spunta da una macchia di abeti.

“Ogni mattina, dopo aver trascorso qualche minuto nella chiesetta del paese, si avviava a piedi per la solita camminata. Ogni anno, a parte questo, prendeva parte alla premiazione del Trofeo dell’Ospite che si svolgeva nello spettacolo di passo Rolle. Insomma, una festa di gruppo che lo divertiva. E a proposito della casa, il segretario comunale di Predazzo Mariano Costa ricordava quando nel 1973, Moro si era presentato in Municipio, portafoglio e moduli alla mano, per pagare l’imposta sui materiali da costruzione. Proprio in quell’anno stava sorgendo, in mezzo ad un prato, l’edificio che doveva ospitare il presidente e la sua famiglia.

In quel giovedì 16 marzo a Bellamonte cadeva qualche fiocco di neve, il cielo era cupo. Pochissima gente per le strade, i televisori – erano ancora pochi – accesi in attesa delle ultime notizie, i cumuli di neve lungo la stradina che porta all’ingresso della casa che appariva “più vuota e definitivamente abbandonata” come disse quella donna uscendo dalla chiesa dove si era recata a pregare “per quei militari ammazzati in mezzo alla strada e per il presidente che, vedrete, non tornerà più”.

Agosto 1966. Aldo Moro sempre presidente del consiglio dei ministri, arriva in treno ad Ora per raggiungere Bellamonte. Alla stazione lo attendevano l’allora Commissario del Governo Giulio Bianchi di Lavagna, il questore di Trento Rossetti e Silvius Magnago. I saluti, gli auguri di buon Ferragosto e l’auto che parte verso la valle di Fiemme scortata da due motociclisti della Stradale. Tre mesi dopo nelle drammatiche giornate dell’alluvione del 4 novembre, Moro era tornato nel Trentino, sempre come capo del Governo. Era arrivato da Belluno alle 19.40 del 21 novembre per presiedere nel palazzo del Commissariato del Governo una riunione nella quale si era fatto il primo bilancio del più grave disastro che dopo la guerra aveva colpito la nostra terra.

Ad accoglierlo, con i sindaci dei paesi alluvionati, c’erano gli allora presidenti della giunta regionale Luigi Dalvit e provinciale Bruno Kessler. Moro aveva dormito nella foresteria del Commissariato e la mattina dopo, di buon’ora, si era recato a visitare i paesi di Maso, Ischiazza, Casatta di Valfloriana per poi raggiungere Strigno e Villa Agnedo dove la furia del torrente Chieppena aveva distrutto abitazioni e fabbriche. In Valsugana aveva incontrato – era un pomeriggio tetro, di pioggia battente – gli abitanti dei centri sinistrati, aveva abbracciato una donna che nell’alluvione aveva perso il marito, si era intrattenuto a lungo con gli operai di un caseificio e della Bauer-Foradori, due nuovissimi insediamenti industriali che la valanga di acqua e pietre aveva distrutto in un modo che sembrava irreparabile. Era stata una visita lunga, minuziosa.

Per tutti, il capo del Governo aveva avuto espressioni di conforto, parole di incoraggiamento. Incitava alla ricostruzione e certamente quella visita aveva contribuito a mitigare un po’ le sofferenze di quei giorni, risollevare il morale, facendo sentire a popolazioni rimaste a lungo nell’isolamento, la presenza del Governo. Il 26 dicembre di quello stesso anno, Moro era tornato a Bellamonte per una nuova vacanza che il giorno 30 – all’improvviso – aveva interrotto per recarsi a visitare un’altra zona colpita duramente dall’alluvione: Mezzano, Imer, Fiera di Primiero, Tonadico, Transacqua.

I paesi della zona del Primiero erano ancora sconvolti e la prima neve caduta sulle macerie aveva rallentato, con il gelo, i movimenti delle frane ma anche il lavoro di rinascita. Moro si era incontrato con i sindaci; a Fiera di Primiero gli scolari gli avevano improvvisato una manifestazione di simpatia. Erano in molti. Festanti si erano stretti attorno all’uomo politico. Un’altra visita di Moro a Trento risale al 4 novembre del 1967. Come presidente del Consiglio dei Ministri era arrivato in città da Redipuglia dove aveva celebrato il quarantanovesimo anniversario della fine della Grande Guerra. Da Redipuglia era partito in auto; lungo la Valsugana si era fermato a Scurelle per inaugurare, ad un anno dalla quasi totale distruzione, il rinato stabilimento della Bauer-Foradori.

Aveva bevuto un bicchiere di vino rosso, mangiato un panino che gli era stato offerto, avvolto in un tovagliolino, da una giovane donna. Poi si era recato a Lavis per inaugurare lo stabilimento della Eurografik e in città, al Castello del Buonconsiglio, aveva deposto una corona di fiori nella Fossa dei Martiri. La cronaca di quel giorno del giornale Alto Adige aveva ricordato le altre presenze di Moro in città: quasi ogni 19 agosto per ricordare, prima nella chiesa di San Lorenzo poi nei giardini di Piazza Venezia ai piedi del monumento, la figura di Alcide Degasperi.

In chiesa con le mani congiunte, il capo leggermente reclinato; davanti al monumento, accanto a donna Francesca, la moglie dello statista del Tesino, alla quale stringeva affettuosamente le mani. Eccolo nelle fotografie di rito, quelle scattate per il giornale L’Adige da Giorgio Rossi e Flavio Faganello, Moro fra i notabili della Dc trentina, vicino a Luciano Azzolini, Ermanno Holler, Rocco Rino Perego, Luigi Dalvit, Enrico Pancheri, Bruno Kessler, Flaminio Piccoli. Eccolo a Cavalese in visita ad un campo estivo della Guardia di Finanza e a Fiera di Primiero per assistere ad una esercitazione di rocciatori delle Fiamme Gialle.

(15. Continua)

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