Buchenwald, liberi dall'inferno

Buchenwald, liberi dall'inferno

di Renzo Fracalossi

«Jedem das Seine» è la versione tedesca dell'antico motto latino «suum cuique» che significa «a ciascuno il suo». Quel motto però testimonia anche la macabra ironia nazista che contrassegna larga parte dei Campi di sterminio sparsi in Europa con frasi come: «A ragione o a torto questa è la mia patria».

O la più famosa: «Arbeit macht frei» («Il lavoro rende liberi»). L'11 aprile 1945 sotto quella frase in ferro battuto «Jedem das Seine», che campeggia all'ingresso del KL di Buchenwald, entrano gli increduli e inorriditi soldati della 6.a Armata americana, liberando così gli ultimi prigionieri, ventimila circa, di quello che risulta essere uno dei più grandi Campi di concentramento nazisti, operante fin dal 1937. Posto sulla collina dell'Ettersberg, a 8 chilometri da Weimar, culla della migliore cultura tedesca, Buchenwald è diviso in tre zone: quella riservata alle SS; quella dei prigionieri e la zona industriale di dimensioni notevoli fin dal 1942. Al centro c'è un albero, che si vuole sia quello descritto da Goethe e dove il poeta trovava ispirazione e per tale ragione i nazisti non lo abbattono. Lo usano invece come patibolo per le frequenti impiccagioni. Buchenwald, fra gli oltre undicimila Campi sorti su tutti i territori occupati dai nazisti, è uno dei più efferati.

I suoi detenuti sono dapprima politici, poi ebrei e poi Testimoni di Geova, Rom e Sinti e poi ancora: prigionieri di guerra, fra i quali più di mille italiani, criminali comuni e disertori della Wehrmacht per un totale di oltre 250.000 internati nell'intero periodo di attività del Campo. Ma non solo. A Buchenwald vengono rinchiusi anche "ospiti illustri", fra i quali Mafalda di Savoia, figlia del re d'Italia, che qui muore; Leon Blum ex primo ministro francese e l'industriale Fritz Thyssen sospettato di attività antinaziste. Anche qui si svolgono esperimenti medici. Alla baracca 46 il dott. Ellenbeck fa ricerche sulla nutrizione, mentre alla baracca 50 ci si occupa di tifo e poi, dal 1944, presta servizio nel Campo il dott. Vaernet, noto per i suoi crudeli esperimenti sugli omosessuali. Esiste infine un blocco a parte per i bambini, generalmente figli di partigiani o ebrei ed arrestati con loro, utilizzati per piccoli lavori, ma soprattutto per soddisfare le perversioni dei "Kapo". Dopo brevi periodi, i bambini vengono per lo più inviati ad Auschwitz per il "trattamento speciale", ma ciò nonostante alla liberazione del Campo se ne contano ancora 877.

Generalmente a Buchenwald si muore per fucilazione, oppure impiccati o con un'iniezione di fenolo o di benzina nel cuore, ma soprattutto per fame e sfinimento da lavoro. Solo nei primi giorni del 1945, le SS costruiscono una camera a gas, ma i detenuti costretti a lavorarvi sabotano i progetti e rallentano i lavori, evitandone così l'entrata in funzione.
Il Campo ha soprattutto precise finalità lavorative. Fin dal 1940 si è infatti installato il complesso industriale D.A.W. (Deutsche Ausrüstungswerke GmbH), di proprietà delle SS, per la produzione di armi in collaborazione con la ditta "W. Gunstloff Werke" e così anche nel sottocampo di Dora - Mittelbau dove, in gallerie scavate nella montagna, i detenuti-schiavi producono le "armi segrete" di Hitler e cioè i missili V1 e V2.

Nel momento della sua massima espansione, Buchenwald conta ben 87 sottocampi alle sue dipendenze ed è una fonte di reddito non indifferente nel complesso delle attività economiche direttamente gestite dall'Ufficio Centrale dell'Amministrazione economica delle SS (Wirtschafts und Verwaltungshauptamt SS). Buchenwald è un luogo dove i valori dell'umanità sono del tutto annullati ed è per questo che spesso viene paragonato ad un tragico girone infernale. Ricordarne oggi la sua liberazione è un atto dovuto, non tanto alla vicenda storica, quanto alle memoria di tutti coloro che furono detenuti in quell'orrore e che ne portano le cicatrici al di là dello scorrere del tempo, ma la liberazione di quell'11 aprile è anche speranza per il presente e per un'altra liberazione: quella di noi tutti dal dramma e dalla paura di queste giornate sospese.

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