Andreas Hofer e Papa Luciani

di Luigi Sardi

Hofer nel pensiero di Papa Luciani. “Lo abbiamo eletto come esempio luminoso per il nostro popolo” scandì Silvius Magnago all’epoca presidente della Provincia autonoma di Bolzano e Obmann della Svp. Era il 18 febbraio del 1984, a Mantova, di fronte ai tirolesi “che nel luogo in cui Andreas Hofer trovò la morte siete venuti a rappresentare tutto il Land”.

C’erano appunto i tirolesi nel loro straordinari costumi, ma anche molti mantovani che avevano sentito parlare di Hofer nel maggio del 1961 quando un manipolo di nazionalisti italiani aveva distrutto con una carica di dinamite il monumento al combattente della Val Passiria in risposta ad un attentato che in Alto Adige aveva sbriciolato il famoso “Duce d’alluminio”, l’Aluminium Duce, il monumento equestre fatto erigere da Mussolini all’ingresso della centrale idroelettrica della Montecatini a Waidbruck.

A Trento il giornalista Gian Pacher aveva raccolto le impressioni di un collega mantovano e raccontato come la città virgiliana aveva accolto Magnago, il capitano del Tirolo Eduard Wallnöfer e mille Schützen, compreso quelli della compagnia di Mezzocorona.

Magnago aveva inaugurato, nel luogo dove la dinamite aveva distrutto il monumento, “una nuova lapide commemorativa, semplice ma dignitosa, per ricordare l’eroe della guerra di liberazione del 1809” concludendo il suo discorso riportato per intero nel quaderno Andreas Hofer - La sollevazione del Tirolo, con la frase: “Hofer era qualcosa di più di un eroe della libertà. Era uno dei grandi eroi dell’umanità, un eroe dei valori eterni”. E con Magnago, attorno alla giornata di Mantova, c‘ era la voce del filosofo Alexander Langer a ricordare, ed era stato uno dei pochi intellettuali a farlo, che “nel periodo nazista, l’unico gruppo partigiano sudtirolese si era denominato Andreas Hofer Bund, ma è stato rimosso dalla memoria tirolese”. Langer che nella sua breve ma intensa vita è stato un personaggio vocato alla politica ed un pensatore acuto, metteva a confronto le apprezzate riforme illuminate portate sulla punta delle baionette degli occupanti franco-bavaresi con la restaurazione metternichiana seguita al congresso di Vienna.

Da ricordare che il clima della Restaurazione e il pensiero del primo ministro Metternich non avevano apprezzato l’insurrezione del 1809 definita un Bauernrummel, insomma rumorosa sagra contadina, temendo che l’ esaltare Hofer e la rivolta potesse assumere il significato di un ritorno ad antiche e mai sopite nostalgie. Per questo un secolo prima, Vienna non aveva aderito alla richiesta fatta da don Antonio Bianchi, parroco di San Michele, che chiedeva i danari necessari a traslare dal cimiero all’interno della chiesa i resti del patriota per rendere più agevole la visita alla tomba da parte dei connazionali di stanza nelle caserme, o di passaggio in quel di Mantova.

Ma ecco il ritratto di Hofer a raccontare quando venne abbandonato da molti compatrioti. “Già tradito dal proprio imperatore e bandito e ricercato dai francesi” con una grossa taglia sul collo, “non volle gettare la spugna e continuò la rivolta nonostante la situazione fosse priva di prospettive e destinata alla sconfitta. Un’esperienza” aveva aggiunto Langer, che “in modo meno drammatico ma non meno profondo hanno vissuto tutti quelli che nel Südtirol dal 1981 al 1982 non hanno accettato di sottoporsi alla schedatura etnica, pur sapendosi ormai schiacciati dall’intesa tra i propri diritti e lo Stato italiano. Contro la forza della ragion di Stato, anche loro hanno continuato la lotta sino a sacrificare, in molti casi, i propri diritti ed il proprio futuro materiale”. Fra vere storie e suggestive leggende delle battaglie del Bergisel e della rivolta alle truppe di Napoleone si scopre la profonda religiosità che segnò i protagonisti della sollevazione. Venne descritta dal patriarca di Venezia Albino Luciani, divenuto papa Giovanni Paolo, che aveva sottolineato nella famosa raccolta intitolata Illustrissimi, la straordinaria influenza che ebbe la religione sulla vita di Hofer.
Il patriarca si rivolge al Generale Barbon con un cordiale “caro Hofer”, raccontando la devozione di quell’oste entrato come eroe nel cuore dei tirolesi. In quell’epoca, spiega Luciani riprendendo un consolidato concetto, il Tirolo era caratterizzato “da una profonda tradizione cattolica che permeava tutta la vita della popolazione”.

Da ricordare che fra il 30 maggio e il 3 di giugno del 1796 la Dieta tirolese si riunì a Bolzano nelle sale del palazzo Toggenburg e decise su suggerimento dell’abate Sebastian Stö di affidare la contea del Tirolo al Sacro Cuore. Così la devozione divenne generale e la recita del rosario entrò nelle consuetudini della vita quotidiana. Con la vittoria nella battaglia del Berg Isel si radicò la tradizione di ricordare quel giorno con i fuochi in cima alle montagne. Albino Luciani, dopo aver ricordato che erano stati i gesuiti a trasformare il Tirolo in una “santa terra” introducendo la devozione al Sacro Cuore di Gesù, conferma come ogni giorno si celebravano sante messe, si venerava la Madonna che compariva su bandiere e stendardi, si facevano processioni e pellegrinaggi. Il rosario era la devozione più diffusa e si pregava prima e dopo i pasti; ogni piccola frazione aveva la sua chiesa, la gente si salutava con un “sia lodato Gesù Cristo” e lungo i sentieri si vedevano crocifissi scolpiti nel legno, sempre ornati con mazzolini di fiori di campo e nell’inverno con piccole candele ben riparate dal soffiare del vento. Anche nel Tirolo erano arrivate dalla Francia le idee progressiste destinate a mettere in discussione la fede e le tradizioni, già accolte fra il 1780 e il 1790 dall’imperatore Giuseppe II d’Asburgo, figlio di Maria Teresa che, appunto nel segno dell’illuminismo, aveva avviato un processo di ammodernamento nel campo dei diritti civili – l’estinzione delle servitù personali che vincolavano i contadini alla terra, la tolleranza in favore di ebrei e protestanti – affrontando una profonda riforma religiosa che aveva ferito la sensibilità dei devotissimi abitanti del Tirolo già scossi dagli interventi di Maria Teresa che aveva ridotto il numero delle festività religiose tentando di incanalare antiche tradizioni verso forme più adatte ai tempi nuovi.
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