Differenze tra assemblea ordinaria e straordinaria

Differenze tra assemblea ordinaria e straordinaria

di Carlo Callin Tambosi

In molti pensano che le regole di celebrazione dell’assemblea ordinaria e dell’assemblea straordinaria siano diverse, che diversi siano il quorum e siano le caratteristiche di convocazione della riunione.

Questa convinzione è sbagliata: l’assemblea ordinaria e l’assemblea straordinaria rispondono alle medesime regole, funzionano secondo gli stessi meccanismi, deliberano con gli stessi quorum. Relativamente ai quorum quindi l’unica differenza sostanziale che occorre ricordare è tra quelli di prima e di seconda convocazione (sia per l’assemblea ordinaria che per la straordinaria). Ma sono convinto nessuno dei nostri lettori ha mai partecipato ad un assemblea di condominio in prima convocazione...

Detto questo va ricordato che la riforma del 2012 ha introdotto effettivamente una nuova assemblea di condominio dotata di caratteristiche sostanzialmente diverse da quella ordinaria e da quella straordinaria e la ha disciplinata all’articolo 1117 ter del codice civile rubricato “modificazione delle destinazioni d’uso”.

Con questa norma il codice ha previsto che il condominio possa, tramite questa speciale assemblea, che deve essere convocata con grande anticipo e resa pubblica anche mediante affissione, modificare le destinazioni d’uso dei beni comuni giungendo anche a prevedere che si possa modificare la destinazione dei beni comuni rendendole inservibili ad uno o più condomini.

L’articolo 1120 del codice civile, sin dal suo testo originario, prevede il divieto di innovazioni che rechino pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che alterino il decoro architettonico dell’edificio o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino.

Ebbene il nuovo articolo 1117 ter vieta modificazioni delle destinazioni d’uso che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che alterino il decoro architettonico ma non vieta le modificazioni delle destinazioni d’uso che possano rendere inservibili una parte dei beni comuni agli altri condomini.

Che senso ha questa norma?
Durante i lavori Parlamentari che hanno portato all’approvazione della riforma una parte degli studiosi, che avevano lavorato sul testo della nuova legge, aveva fermamente sostenuto che il condominio dovesse essere dotato della possibilità di alienare le parti comuni tramite delibere a maggioranza e che non dovesse essere sempre indispensabile provvedere con decisioni unanimi, come era sulla base del codice originario e come è anche oggi.

Questa spinta, che passava necessariamente attraverso il riconoscimento della personalità giuridica al condominio, riconoscimento che la riforma non ha effettuato, non non è giunta al risultato sperato: dopo la riforma del 2012 continua ad essere indispensabile la volontà di tutti i condomini per alienare beni comuni o per costituire diritti reali sugli stessi.

La formula dell’ articolo 1117 del codice civile, che prevede la possibilità sostanzialmente di incidere in maniera più consistente sulla destinazione d’uso delle parti comuni anche magari attribuendo l’uso a terzi soggetti, costituisce un compromesso tra le istanze più innovative e quelle conservatrici.

L’esperienza insegna che i compromessi non originano soluzioni brillanti e questo caso non smentisce la regola: l’articolo 1117 ter, a distanza di più di cinque anni dalla entrata in vigore della riforma, risulta sostanzialmente disapplicato. La particolare procedura di convocazione dell’assemblea e le regole di celebrazione della stessa con le maggioranze specialissime fissate dalla norma non sono mai state, o quasi, percorse dalla pratica condominiale.
Il compromesso ha originato una norma che è nata relitto e che giace nel codice senza grandi speranze di restauro o riutilizzo.

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