Dalla notte dei fuochi alle trame della “Rosa dei Venti”

Dalla notte dei fuochi alle trame della “Rosa dei Venti”

di Luigi Sardi

Quella “notte dei fuochi” ha avuto in Piero Agostini e Gianni Bianco – famosi giornalisti di un passato ormai remoto – due interpreti che hanno tradotto le loro impressioni nei libri “Alto Adige la convivenza rinviata” (Agostini) e “La guerra dei tralicci” (Bianco). Documenti giornalistici che narrano anche fatti minuti raccontando, per esempio, che a Innsbruck dipingono con la “T” di Tirol treni e automezzi diretti in Italia mentre si inonda il Sudtirolo con manifesti a firma dei combattenti per la libertà e che il “Los von Trient” di Castelfirmiano del novembre 1957 è diventato il “Los von Italia”.

Si legge nel libro di Bianco che fu dal 1960 al 1963 caposervizio nella redazione di Trento dell’Alto Adige: «Suscita molta perplessità la lentezza con cui si è messo in movimento l’apparto difensivo italiano. Forse in futuro si potranno conoscere le ragioni per cui gli avvertimenti del Sifar che pare fosse al corrente della preparazione degli attentati e dei campi di addestramento per terroristi in Austria, non siano stati tradotti in misure preventive. La vicenda presenta lati oscuri, connessi anche alla figura del generale di Corpo d’Armata Aldo Beolchini, comandante del quarto Corpo con sede centrale in Bolzano. Pare che, sulle informazioni del Sifar, il generale avesse fatto preparare un piano di emergenza, in grado di stroncare sul nascere qualsiasi ondata terroristica su vasta scala, e che a tale piano avesse dato il suo benestare un ministro al potere sullo scorcio del 1960. Beolchini tuttavia è inviso a non pochi politici, sia del gruppo italiano che di quello tedesco, per la sua tendenza a non limitarsi alle questioni strettamente militari e, probabilmente per pressioni sul Governo venute da Bolzano, viene trasferito e con lui scompare anche il piano di emergenza di cui non risulta traccia al momento della grande ondata terroristica dell’ 11 giugno»”.

Insomma, secondo una, ovviamente incontrollabile ricostruzione degli eventi, il Sifar sapeva che nella notte dal Sacro Cuore gli attentatori si sarebbero mescolati alle centinaia di sudtirolesi che, all’imbrunire, si ebbero recati sulle montagne per accendere i tradizionali fuochi e, durante la notte, fuochi e dinamite avrebbero divampato e deflagrato insieme.

Oltre vent’anni dopo il libro di Bianco, Piero Agostini, redattore a Trento dal 1959 del quotidiano Alto Adige poteva dividere il terrorismo nel Sudtirolo in due fasi “una di ispirazione autoctona” guidata dallo spirito di Andreas Hofer che nel 1809 aveva concluso con il Sacro Cuore il patto in una delle ore più gravi della storia della Patria tirolese e l’altra «esclusivamente pilotata dal peggior professionismo neo nazista d’Austria e Germania» presente 60 anni fa «e ispirata dagli ultimi relitti di un’Europa post colonialista, percorsa da trame reazionarie, da residuati dell’OAS, l’organizzazione di terroristi francesi nata nel 1961 per contrastare l’indipendenza dell’Algeria dalla Francia».

Nel giugno di quell’ anno (14 giugno 1961, giornale “Presse” di Vienna, nda) Claus Gatterer il giornalista e scrittore ed eminente storico pusterese emigrato in Austria scriveva: «La notte sudtirolese dell’ 11 giugno fa ricordare un’altra notte, un’altra tragedia di ben maggiori proporzioni: la notte del primo novembre 1954 in Algeria quando con una simile serie di attentati ha avuto inizio la sporca guerra che dura da sette anni» e sulle pagine della “Wiener Montag” di Vienna del 19 giugno si legge: «L’esperienza ha sin ora insegnato che l’Onu e il Consiglio di sicurezza entrano in azione seriamente solo quando la violenza è in atto. Le minoranze etniche che hanno richiesto i loro diritti con solenni affermazioni non hanno purtroppo mai avuto la possibilità di venire ascoltate. Sono state ascoltate soltanto quando si sono decise ad usare la violenza. Non si può nascondere la verità. I ciprioti non avrebbero ora la libertà se non avessero sostenuta una lotta sanguinosa».

Da ricordare che in quel 1961 l’Austria tornava per la seconda volta alle Nazioni Unite per richiamare l’attenzione internazionale sulle vere o presunte inadempienze dell’Italia nell’applicazione dell’accordo di Parigi del 5 settembre 1946 fra Alcide Degasperi e il ministro degli esteri austriaco Karl Gruber.

Da ricordare anche che era stato Piero Agostini a sospettare nel luglio del 1974, che «la cosiddetta strategia della tensione godesse di autorevoli protezioni in certi ambienti dei servizi di sicurezza» cresciuti fra le formazioni dell’antiterrorismo concentrate fra Trento e Innsbruck e che la “Rosa dei Venti”, la fantomatica organizzazione paramilitare avesse molte spine emigrate dal Sudtirolo nel resto del Paese. Si comincia dal 30 luglio del 1967 quando su un treno zeppo di turisti germanici proveniente da Roma e diretto a Monaco di Baviera si scopre fra mille valigie, una zeppa di esplosivo. Due mesi più tardi, il 30 settembre e alla stazione di Trento, su un treno che da Monaco va a Roma, un altra valigia imbottita di esplosivo esplode nelle mani di due agenti della Polfer: Edoardo Martini e Filippo Foti. Si accerta che l’orrendo ordigno è stato collocato sul treno alla stazione di Innsbruck da un giovane sceso dal vagone alla stazione di Brennero località dove all’epoca vivevano più uomini delle forze dell’ordine che brennerini.

Qualche anno più tardi ci si domandò se le spine della “Rosa dei Venti” fossero ben presenti nelle spirali della strategia della tensione per arrivare il 13 dicembre di mezzo secolo fa a Milano, in Piazza Fontana, nella Banca dell’Agricoltura e riaffiorare, nel febbraio del 1971, a Trento, davanti a Palazzo di Giustizia, nella mancata strage preparata con due testate di razzi antigrandine rubate da una riservetta collocata a Taio, in val di Non.

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