Starnuti e fruscii in Si bemolle

di Paolo Ghezzi

La signora di sinistra scarta la caramella con metodica flemma. E mai una volta che sia una carta silenziosa, tipo le vecchie Golia. No, la carta della caramella della signora alla tua sinistra è di quelle tipo «cricci-crocci», produce sotto i polpastrelli della signora (che naturalmente mai vorrebbe disturbare il concerto con un colpo di tosse e dunque succhia la caramella come medicina preventiva) un crepitìo, uno sfrigolio, uno scoppiettio tipo legnetti nel caminetto, che accompagna ritmicamente il pizzicato dei violini.
Il tipo due file indietro, ultima poltrona esterna, stende una gamba di dimensioni importanti, un piede tra il 44 abbondante e il 45 scarso. La scarpa ha la suola di para (sì, c'è chi, per uscire a concerto, predilige la suola di para) e il tipo sembra nervoso o magari «sente» solo la musica fin dentro i talloni: fatto sta che strofina la suola di para sul pavimento in legno della sala da concerto ed emette - con regolarità, ogni sette secondi, è cronometrato - uno «screech» di quelli da brivido spinale che invade come variazione non autorizzata l'intero adagio di Mahler.
Il funzionario provinciale alla tua destra ha il raffreddore e usa i fazzoletti di carta: li prepara meticolosamente aperti sul ginocchio sinistro e, quando proprio non ce la fa più, reprime con un «Tempo» lo starnuto incipiente e, tra fazzoletto starnuto soffocato e contraccolpo lombare, cancella corni e violoncelli dal poetico rondò del terzo tempo.
L'abbonata dietro di te non è d'accordo sul fatto che ai concerti lascino entrare esseri umani superiori al metro e ottanta d'altezza. «Che nervoso, proprio qui doveva sedersi 'sto qua, mi toglie tutta la vista sul pianista, che l'è anca 'n bel putèl» confida alla vicina, più alta di lei di un palmo, proponendole uno scambio di posto che di solito avviene in extremis, dopo infinite discussioni, durante l'accordatura degli strumenti a inizio concerto. 
L'appassionato seduto davanti alla tua poltrona controlla lo smartphone ogni due minuti e mezzo, estraendolo dalla tasca interna della giacca di velluto con un fruscio elegante: visualizza salvaschermi con gatti meditabondi o bionde errabonde e produce un inquinamento luminoso nel raggio di otto metri quadrati di platea, anche perché non ha ancora imparato a mettere l'opzione salva-energia.
Sono soltanto cinque dei tipi umani che popolano la musica dal vivo e ti fanno rimpiangere di non essere rimasto a casa, a tu per tu con lo stereo del salotto e l'ultimo disco Deutsche Grammophon. Eppure la musica classica resta viva anche perché Bach ogni volta suona diverso, con ogni nuovo musicista che lo interpreta. E allora si impari ad essere gandhiani o zen, a concentrarsi e ad astrarsi sopportando gli scartanti, gli starnutenti, quelli che hanno i tic e quelli che fanno cioc, i telefonanti e i protestanti. 
In fondo, basta chiudere gli occhi e spariscono tutti tranne la musica immortale che ti arriva oltre le teste, i nasi e le dita: pazienza per chi sbuffa e per chi sbuccia, tu concèntrati sul tema della Trota. Solo tu, il quintetto dei musicisti viventi e Franz Schubert, più vivo che mai pur se invisibile agli occhi. E al diavolo la caramella che fruscia e la signora che struscia: un andantino, come acqua di chiaro torrente, li sommergerà.

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