Il lavoro di domenica non è umano

Il lavoro di domenica non è umano

di Giancarlo Bregantini

Chi semina sassi al posto di fiori, è destinato ad inciampare. È una bella provocazione, necessaria, direi, per ciascuno. Tornando dalla Settimana sociale di Cagliari, ho cercato di fare una sintesi di tanta ricchezza ascoltata e partecipata. Sono in fondo tre i punti su cui ruota il programma effettivo di questa esperienza: un appello alla politica; un cuore che pensa in grande il tema del lavoro, perché sia centrale, sempre. Ed infine, un forte appello al riposo festivo. Alla Politica, sia italiana che europea, abbiamo presentato queste precise proposte: formazione più legata al lavoro; revisione aliquote Iva; Piani individuali di risparmio per le piccole imprese e riforma degli appalti; inserimento dell'occupazione nello Statuto della Bce; armonizzazione fiscale ed eliminazione dei paradisi fiscali interni; investimenti infrastrutturali e produttivi.
Gentiloni le ha ascoltate con cura. Speriamo.

Sento poi doveroso riprendere la straordinaria espressione usata dalla biblista Rosanna Virgili, perché ha fornito un'immagine chiarissima del problema attuale: «La schiavitù stupra la vita intera passando per il lavoro. Senza un patto politico e sociale, senza una scheletratura etica, il lavoro perde il senso e lo scopo della solidarietà e porta alienazione: è diventato ansia di potere per i ricchi e precarietà assoluta per i poveri. Una economia sciagurata che spezza creato e creature, trasformando il giardino in un inferno».

Tutti ci ritroviamo in queste parole, sollecitati a custodire questo giardino che abitiamo, la nostra società. Perciò, la riduzione della disoccupazione giovanile resti il primo grande obiettivo, rafforzando la filiera formativa professionalizzante, dove ciascuno ha la possibilità di contribuire alla comunità solidale tra persone e verso l'ambiente. E ultimo, ma principale è stato il forte monito riguardante la domenica, libera dal lavoro, dalla pesantezza oscena di dover trascorrerla lavorando e non in famiglia. Il riposo domenicale è l'identità della persona, delle nostre relazioni che non debbano essere private di questo tempo fondamentale, vitale per la società, le famiglie e tutti il nostro Paese. 

C'è tutta la settimana per andare a fare la spesa. Perché penalizzare le mamme, i papà e tutte quelle persone che si vedono strappati alla gioia della domenica! È opportuno rimettere la domenica nel calendario come giorno festivo, di riposo, di vita nel proprio ambito familiare. Anche il Cardinale Bassetti si è battuto molto su questo, dichiarando pubblicamente appunto come Cei che «della domenica ha bisogno anche la nostra società secolarizzata; ne ha bisogno la vita di ogni uomo, ne hanno bisogno le famiglie per ritrovare tempi e modalità per l'incontro, ne ha bisogno la qualità delle relazioni tra le persone. Del "lavoro che vogliamo" la domenica è parte costitutiva: perché, se, quando manca il lavoro del lunedì non è mai pienamente domenica, anche quando manca la domenica il lavoro non riesce a essere davvero degno per nessuno». 

Senza la domenica tutto si disumanizza. Questo sistema di liberalizzazioni sfrenate andrebbe sostituito urgentemente con sagge regolamentazioni, che tengano conto del riposo come del guadagno, della persona come del profitto! Siamo come di fronte ad una forma di narcisismo che trasborda i suoi tentacoli egoistici dappertutto, fin sulla tavola della famiglie italiane, per rubarne il sorriso, la dignità e la sacralità dello stare insieme nel giorno del Signore e dell'uomo. Per riflettere su questo nodo doloroso consegno a voi, cari lettori, questa storiella assai efficace nel suo messaggio finale: «Un giorno il Gran Re di Persia bandì un concorso fra tutti gli artisti del suo vasto impero. Una somma enorme sarebbe andata in premio a chi fosse riuscito a fare il ritratto più somigliante del Re. Giunse per primo Manday l'indù, con meravigliosi colori di cui lui solo conosceva il segreto; quindi Aznavor l'armeno, portando una creta speciale; poi Wokiti l'egiziano, con scalpelli e ceselli mai visti e bellissimi blocchi di marmo.

Infine, per ultimo, si presentò Stratos il greco, munito però soltanto di un sacchetto di polvere. I dignitari di corte si mostrarono indispettiti per l'esiguità del materiale portato da Stratos il greco. Gli altri artisti sogghignavano: "Che cosa può fare il greco con quel misero sacchetto di polvere?". Tutti i partecipanti al concorso furono rinchiusi per varie settimane nelle sale del palazzo reale. Una sala per ogni artista. Nel giorno stabilito, il Re cominciò a esaminare le opere degli artisti. Ammirò i meravigliosi dipinti dell'indù, i modelli in creta colorata dell'armeno e le statue dell'egiziano. Poi entrò nella sala riservata a Stratos il greco. Sembrava che non avesse fatto niente: con la sua polvere minuta, si era limitato a smerigliare, levigare e lucidare la parete di marmo della sala. Quando il Re entrò poté contemplare la sua immagine perfettamente riflessa. Naturalmente, Stratos vinse il concorso. Solo uno specchio poteva soddisfare pienamente il Re».

Tanta è la voglia di apparire, tanto è egocentrico il Re che non gli sarebbe bastata alcuna immagine raffigurante se stesso. L'artista greco l'aveva intuito bene e giocò di astuzia, mettendolo davanti allo specchio, dove si poteva adorare come un vero idolo. Fuori di metafora, il Re ben rappresenta questa Politica individualista, che mette al centro sempre le proprie voglie, non certo il bene di tutti e per tutti.

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