I dodici anni di Carlo Dellasega alla direzione della Cooperazione

I dodici anni di Carlo Dellasega alla direzione della Cooperazione

di Franco De Battaglia

«Le lettere di addio corrono il rischio di suonare patetiche, di essere tutte rivolte all’indietro, al passato. Io invece voglio guardare in avanti. E dirvi una cosa sola: quello che ho imparato in questi dodici anni e mezzo di servizio alla Federazione. Che cosa ho imparato da centinaia, migliaia di cooperatori e cooperatrici. Da tante storie, serene o drammatiche, di cooperative. Da crisi superate. Da vittorie all’ultimo minuto, da alcune amare sconfitte da cui ho appreso una grande lezione: servono per affrontare e organizzare l’immediata rivincita. Che cosa ho imparato? In fondo, una sola grande verità: la Cooperazione ha un grande passato ma non è il passato. La Cooperazione è il presente, un presente importante, complesso. E soprattutto è il futuro».

Carlo Dellasega


Il direttore della Federazione della Cooperazione, lascia il suo mandato dal 1 gennaio, con qualche mese di anticipo sulla scadenza contrattuale, dopo averlo messo a disposizione già dall’estate per facilitare la fase di rinnovamento che ha portato all’elezione di Mauro Fezzi alla presidenza.

Dellasega lascia la direzione, ma non abbandona la passione cooperativa.

È questo il senso del suo commiato, inviato a cooperative e cooperatori: non un addio, ma un far tesoro delle esperienze compiute, anche degli errori fatti o lasciati fare, per riprendere il cammino del «fare insieme». Ciò significa tener alti gli ideali cooperativi e sostenerne la reale capacità alternativa della Cooperazione, in un sistema economico e sociale che la globalizzazione e i liberismi - ora di fatto alleati con i populismi - rendono ingiusto, privo di prospettive che non siano quelli di guadagni immediati per un numero sempre più ridotto di privilegiati. Riprendere l’impegno. E infatti, fin dalla prossima settimana Carlo Dellasega non lo si troverà a passeggiare nei boschi della sua val di Fiemme, ma in una cittadina inglese nei pressi di Bristol, a intensificare l’apprendimento della lingua, ad approfondire contatti con i molti amici che la Cooperazione conta a Londra. Un bilancio di questi anni in cui tutto è cambiato, dalla politica al costume, dalle tecnologie al ruolo del denaro, richiederà tempo per essere compiuto. Ma alcune «ipotesi di lavoro» possono essere proposte.

Forse il limite più evidente di Dellasega sta nell’aver creduto nella bontà intrinseca dell’animo umano, nell’aspirazione reale di cittadini che si sentono comunità verso il bene comune, mentre tutt’intorno a lui la società si parcellizzava, si divideva, si induriva in egoismi, particolarismi e rivalità, che non sono mancate neppure fra quanti salivano sul carro cooperativo. Il direttore ha poi creduto davvero nell’autonomia rivendicata delle singole realtà cooperative, anche a scapito dei contraccolpi sull’intero sistema.

Ma una mela marcia deprezza tutta una cassetta di frutta. Il merito maggiore di Dellasega è stato invece quello di traghettare il movimento cooperativo dal sentirsi parte di una generica «solidarietà», (ormai orfana, peraltro, della «spalla» che le dava una struttura radicata e istituzionale di Chiesa) ad una realtà «post-moderna», al sentirsi avanguardia ed espressione di un sistema economico che fa i conti con le sfide ed anche con gli strumenti del mercato, ma sa di essere, nelle sue premesse e finalità, «alternativa». Un sistema di cui più che mai la realtà trentina (per la sua struttura sociale, economica, fondiaria così diversa da quella altoatesina) ha bisogno.

Di qui la ricerca e riproposizione di modelli cooperativi internazionali, come quelli dei Paesi Baschi, collegamenti fra gruppi e scuole, l’aprirsi a fornire esperienze a paesi desiderosi e bisognosi di cooperazione (la Corea del Sud ad esempio, la stessa America, l’Argentina) l’apertura ai pensatori dell’economia civile, come Zamagni, Luigino Bruni, Becchetti. La sfida è ancora in corso, ma questi anni non sono certo andati sprecati. Anche nel «Consumo» il piccolo Trentino, un «sobborgo urbano» per quando riguarda le grandi superfici, è stato posto davanti alle sue opportunità e responsabilità: o diventare servo di una finta concorrenza al gioco dei bollini, che lascia pochi briciole di risparmio a chi è costretto a fare il «giro delle offerte», come in tempo di guerra si faceva la coda proprio con le tessere e i bollini, o rendersi conto che essere soci significa anche essere comproprietari di un patrimonio e protagonisti di un territorio e del suo reddito.

Discorso analogo per il credito. Dopo il suicidio del sistema bancario trentino che s’è privato quasi d’un solo colpo di tre istituti come Cassa di risparmio, Btb e Banca popolare, la Cooperazione ha fatto da supplenza. Ora, con la rivoluzione dei parametri a livello europeo, punitiva nei confronti delle banche dei territori, la partita è aperta, mentre già si affacciano negli spot televisivi (e non solo) le proposte di finanziarie private che propongono crediti personali fuori dal circuito bancario. Come queste cose vadano a finire poi si sa. Aver impostato una cultura cooperativa capace di affrontare queste sfide, con la fiducia che il metodo cooperativo è davvero la «sharing economy» del futuro, resta forse il merito maggiore di Dellasega.

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