Rifugi, presìdi di cultura e vita alpina

Rifugi, presìdi di cultura e vita alpina

di Franco De Battaglia

Da poche settimane i rifugi trentini hanno chiuso i battenti al termine della stagione estiva. Negli ultimi anni alcuni di loro prolungano la stagione d'apertura fino a metà ottobre, offrendo alla clientela prodotti e piatti tipici. Il rifugio si è affermato come luogo di incontro, dove turisti, escursionisti e appassionati di montagna convergono, riscoprendo il valore della semplicità e un calore che in città è sempre più difficile da trovare. I piatti proposti appartengono ad una tradizione che ha come ingredienti la qualità e la cura, e per questo apprezzati da tutti i tipi di palati.

Questi punti di passaggio e di ritrovo hanno inciso anche sulla tipologia dei frequentatori della montagna. Un tempo riservata agli alpinisti più esperti, la montagna è diventata ora sempre più accessibile, attirando l'attenzione di un maggior numero di persone. Il rifugio ha sicuramente giocato un ruolo importante nella crescita dell'interesse che negli anni la montagna è stata in grado di esercitare. Per questo, lo si può considerare anche un presidio territoriale al servizio dello sviluppo locale. In molti casi i nomi dei rifugi si identificano con i nomi dei loro gestori: Egidio Bonapace è il Rifugio Graffer, la famiglia Iachelini è il Rifugio Dorigoni, Danny Zampiccoli è Rifugio Altissimo sul Baldo, Emanuele Tessaro è il Rifugio Brentari Cima d'Asta, Giambisi all'Antermoia, Rosi al Principe ... e così via. 

Al termine della stagione è l'occasione per ringraziare i gestori, che concretamente si impegnano a mantenere vivo l'interesse verso la montagna. Gestire un rifugio costa fatica, impegno, passione; la vita di rifugio è dura, si lavora tanto e troppe ore. Per molti di loro sarebbe più facile (e forse anche redditizio) gestire una pizzeria in qualche paese di fondovalle. La loro presenza è però una testimonianza preziosa di come vivere una montagna «lenta» possa essere una cura alla frenesia della vita ed uno stimolo per cogliere ancora di più i piaceri e le bellezze della montagna.

Paolo Dalpiaz - Trento


La risposta di Franco De Battaglia

Questa lettera arriva come un soffio d'aria fresca con l'ultimo sole della montagna, nei giorni di San Martino, e arriva in modo per molti versi inaspettato? Ci si attende che la gente scriva di referendum, di sì e di no, delle paure che suscita l'elezione di Trump ? di bombe e intimidazioni fin nei paesi di montagna. Chi ha scritto ben conosce e soffre queste situazioni, ma ci avverte di non perdere di vista ciò che abbiamo in casa, ciò che abbiamo costruito, i «presìdi» della cultura e della vita alpina. I rifugi non sono solo «strutture» di ricezione turistica, contenitori di presenze o ristoranti in quota, ma sono luoghi di vita anche alternativa per chi li gestisce e per chi li frequenta.

Per chi vi si ispira nelle scelte di accoglienza. Il Rifugio - ci fa capire Dalpiaz - non è tanto un tetto per i temporali, quanto un riparo dalle violenze che scuotono l'anima umana, dalle tempeste della storia: non per fuggirle, che non si può, non per scappare, ma per riprendere la vera misura delle cose semplici e sobrie, per attendere che i fulmini si scarichino sulle guglie e ritorni il sereno. Anche perché nel rifugio non siamo soli, troviamo un amico. Il rifugio, infatti, «è» il gestore, è l'uomo che lo gestisce, così come la scuola è il Maestro che la fa, e nel rifugio si capisce bene come è agli uomini che vadano dedicate le energie maggiori, sui monti come nelle città. Occorre non disperdere questa dimensione umana dei rifugi, che diventano «rifugio» anche per una società che spesso sembra voler dimenticare gli uomini e le donne, abolire gli uomini stessi dai rapporti umani, nelle banche, nei supermercati, negli ospedali, allo stesso telefono dove rispondono numeri invece di voci: «? Prema 2».

Anche il turismo deve sostenere la vocazione del rifugio ad un approccio lento alla montagna, a un respiro profondo, non una «pausa caffè» fra una sciata e l'altra. Il rifugio è fatto per fermarsi. Il rifugio dà anche speranza nel futuro, perché dimostra che l'uomo è pur capace di non farsi travolgere dal peggio, anche se la cultura antica della montagna viene scossa da violenze e intimidazioni, come a Soraga, come a Folgaria. E invece proprio il «rifugio» conferma che in questi tempi di crisi la montagna, per i Trentini e gli ospiti di questa terra, resta una risorsa formidabile, un giacimento di occasioni di vita, di natura, di solidarietà. Dice che la montagna non è un gioco, è una dimensione di libertà che nessuno può violentare o strappare.

fdebattaglia@katamail.com

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