I giovani che sperano (ancora) nel futuro

I giovani che sperano (ancora) nel futuro

di Sandra Tafner

Alcuni gestori di rifugio della val di Fassa (ma anche ristoratori) quest'anno lamentano mancanza di personale. Non era mai successo: prima c'era la fila, molti stranieri ma anche italiani che inviavano il curriculum, bastava scegliere. Ora il clima è cambiato non solo per la quantità ma anche per la qualità. I cuochi, ad esempio. Il fenomeno è abbastanza inspiegabile considerato che molti giovani frequentano le scuole alberghiere del Trentino dove ricevono un'ottima preparazione. Qualcuno addirittura ha un approccio col datore di lavoro che non lascia scampo: sabato e domenica liberi, altrimenti no grazie.

Le analisi però dimostrano che turismo e agricoltura sono i due settori che stanno trascinando il mercato. È pur vero che il lavoro stagionale è a tempo determinato, due-tre mesi e poi si torna a casa, ma in periodo di crisi tutto fa brodo, come si suol dire. E del resto non si tratta di guadagnare pochi spiccioli che, in mancanza d'altro, potrebbero sempre far comodo. Le paghe non sono poi così basse. Si cercano allora giustificazioni. Che sia effetto della buona scuola che prevede nel programma anche stage lavorativi? Probabilmente no, le due cose potrebbero essere compatibili magari con un po' di fatica in più, considerato che ai giovani non mancano le energie. Che sia perché molti non vogliono adattarsi a fare un mestiere che ritengono riduttivo rispetto alla preparazione accademica acquisita? Una volta - e ancora non girava lo spettro della crisi - un'esperienza diversa era considerata addirittura una parentesi appagante, per niente riduttiva. E per fortuna i ragazzi che la pensano così non sono scomparsi. 

Massimo Toffoletto, ad esempio, ha pubblicato un libro «Il pescivendolo italiano in Norvegia» nel quale racconta la sua storia di laureato, ricercatore all'Università, padrone di cinque lingue, che si è innamorato di un banco del pesce nella città di Bergen, in riva al mare, dove trascorre l'estate a vendere salmone, a sgusciare granchi, a parlare con i turisti e a sorridere. Perché è felice. E lo è anche d'inverno quando torna a insegnare. È bello e si guadagna bene, lassù. Lo dicono anche altri studenti e laureati che arrivano fino a Capo Nord a fare le guide turistiche, lavorano con passione e competenza. Italiani e tra questi alcuni trentini. Che basti guardarsi in giro? In effetti l'Istat afferma che stanno diminuendo gli inattivi, quelli cioè che non hanno occupazione e nemmeno la cercano. Un piccolo passo avanti, dunque, anche se l'impressione è che la forbice si stia allargando. C'è chi non si dà pace e continua a provare, altri che non solo non lo fanno, ma nemmeno vogliono farlo (anche se facile non è trovare un lavoro). 

Ai concorsi si presentano centinaia di candidati per pochissimi posti a disposizione, ma non si scoraggiano e continuano a provare. Altri danno fondo a tutte le risorse della creatività e inventano nuove professioni. Aumentano ogni giorno le start up e molti se ne mostrano entusiasti. A fronte c'è chi trascina le giornate senza darsi alcun obiettivo concreto.

Cresce - è sempre l'Istat che parla - il tasso di occupazione dei lavoratori indipendenti. In Trentino gli stagionali sono circa tremila. Si nota un ritorno al lavoro nei campi, per molti anni ignorato o lasciato in mano agli stranieri, dei quali spesso è criticata l'eccessiva presenza senza capirne invece il valore. Un po' come è successo con le badanti che sono arrivate a dare una mano preziosa in certe situazioni di bisogno, mentre ben poche connazionali erano disponibili ad assumersi quel ruolo. Adesso qualcosa sta cambiando, anche perché lo spettro della disoccupazione non incombe soltanto sui giovani, ma anche e forse di più sulle persone di mezza età espulse dal mercato per le quali riciclarsi diventa molto difficile.

Calano i lavori tradizionali, quelli più tutelati, quelli che una volta intrapresi ti portavano alla pensione; si affacciano prospettive nuove per chi è disponibile a rimettersi in gioco. Sono richieste però mentalità e atteggiamento diversi e qui è ovvio che gli orizzonti si allarghino più per i giovani, almeno per quelli che hanno preparazione e volontà di fronte ad altri che hanno optato per il tirare a campare, per lasciarsi trattare da bamboccioni salvo poi irritarsi (spesso insieme ai genitori) se qualcuno glielo rinfaccia. Certo non tutte le posizioni di partenza sono uguali, ma non tutti quelli che riescono a individuare una strada e a tentare di percorrerla sono partiti con la spinta. 

Bisognerebbe almeno provarci.

sandra.tafner@gmail.com

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