Parsifal, un eroe di compassione

Parsifal, un eroe di compassione

di Paolo Ghezzi

L'antico, premiato (e un po' inquietante) Wagner Club di Bayreuth ha abolito quest'anno lo storico tappeto rosso per l'inaugurazione del Festival: il lutto per la tragedia dei teenager di Monaco andava celebrato anche nel tempio dei drammi da teatro. E poi Merkel e gli altri vip della politica si sono tenuti alla larga dalla prima blindata del Parsifal. Un sottile, impensabile filo rosso legava al sangue in scena i primi attacchi alla pax germanica, terroristici o psichiatrici che fossero, sangue vero versato sulle strade. Il sangue dell'opera è quello di Cristo raccolto nel sacro Graal ma anche quello del re Amfortas, trafitto per incantesimo, con una ricca collezione di rosse ferite sul petto e sul capo, per giunta, una corona di spine sotto la quale molto soffre e si lamenta.

L'ambientazione medio-orientale, siro-irachena (la indica un video allusivo) scelta dal regista Uwe Eric Laufenberg per la vicenda dell'eroe cristiano che resiste sia alla violenza del malvagio mago Klingsor sia alle seduzioni delle fanciulle-fiore si presta a fiere strumentalizzazioni ideologiche e a muscolari guerre di religione: se il Califfo leggesse i libretti di Wagner, un genio assoluto ma con pesanti venature antisemitiche e razziste, per i Festspiele di Bayreuth sarebbero guai.

Grazie alle dirette di Radio3, comunque, chi ha voluto sottoporsi a una cura di sei ore di Parsifal intervalli inclusi, avrebbe potuto scoprire territori smisurati di musica filosofica e profonda, benedetta da una grazia magniloquente e da una potenza soprannaturale, un fiume lento e maestoso, abitato da voci cavernose, fatta eccezione per quella angelica di Parsifal. Una sorta di immensa, arcana liturgia, nell'intenzione dell'autore, dilatata sulle frontiere del mito. Mistero della fede, ti spiega la guida Knaurs all'opera lirica, mentre il «Tristano e Isotta» mette in scena il mistero dell'amore e il «Ring» nibelungico il mistero del potere, che tanto avrebbe affascinato, nel secolo successivo, i nazisti.
Ma se la Cavalcata delle Valchirie può scatenare i più insani impulsi e farci venir voglia di invadere la Polonia - ci avverte Woody Allen - il Parsifal, se si sopravvive alle sei ore, ci spalanca con sovrana lentezza le porte del cielo. Non meraviglia che non piacesse all'impaziente futurismo di Marinetti che, sulla scia dell'antiwagneriano Nietzsche, così ne scrisse, accostando nell'invettiva l'opera sul Graal al tango, «beccheggio da far vomitare»: "Parsifal inocula una incurabile nevrastenia musicale.

Parsifal è la svalutazione sistematica della vita! Fabbrica cooperativa di tristezza e di disperazioni. Stiramenti poco melodiosi di stomachi deboli. Cattiva digestione e alito pesante delle vergini quarantenni. Piagnistei di vecchi preti adiposi e costipati. Vendita all'ingrosso e al minuto di rimorsi e di viltà eleganti per snobs. Insufficienza del sangue, debolezza di reni, isterismo, anemia e clorosi". Wagner, coltivando il suo vasto progetto artistico-teologico, era viceversa convinto di mettere in scena una grande parabola mistica, avendo scritto, poco prima di Parsifal: «Esclusivamente l'amore germogliato dalla compassione, e che nella compassione si immerge fino all'interruzione completa della volontà individuale, è l'amore cristiano capace di redenzione, nel quale sono incluse fede e speranza».

Al di là di tutti i complessi significati del testo letterario e della partitura musicale, che sono intricate giungle riservate agli specialisti, l'epica di Parsifal indica comunque una strada di redenzione. Prima di diventare strumento di liberazione del re e dei cavalieri del Graal, Parsifal entra in scena infatti come un uomo in crisi, sbandato e confuso al punto di non interrogarsi sui confini tra il bene e il male e di macchiarsi della colpa di abbattere un innocente cigno in volo. Gurnemanz: «Ti rendi conto del tuo misfatto? (Parsifal si passa la mano sugli occhi) Dimmi, ragazzo, riconosci la tua gran colpa? Come l'hai potuta commettere?». Parsifal: «Non la sapevo».

Gurnemanz: «Di dove sei?». Parsifal: «Non lo so». Gurnemanz: «Chi è tuo padre?». Parsifal: «Non lo so». Gurnemanz: «Chi t'ha mandato per questa strada?». Parsifal: «Non lo so». Gurnemanz: «Il tuo nome almeno?». Parsifal: «Molti ne avevo, ma non ne so più alcuno». È a questo anti-eroe confuso e traballante, un «folle-puro» («fal-parsi») che Dio affida la missione, per dimostrare la sua indefettibile potenza salvifica. Per quanto il ministro sacro sia umanamente indegno, il mistero passa attraverso di lui e lo trascende. Così Parsifal riesce a fermare in volo la lancia del crudele Klingsor ed esorcizzarne la carica di morte tracciando in aria, con essa, il segno della croce.

Così l'anti-eroe diventa il liberatore, colui che spezza la catena della violenza. In questi giorni di feroci riti di sangue, la parola finale di Parsifal al re guarito dalle ferite ci piace pensarla, prima che mistica, semplicemente umana, lenitiva, universalmente terapeutica: «Benedetto sia il tuo dolore, che la forza suprema della compassione e la potenza d'un purissimo sapere donò ad un timido folle!». Invece della passione per la forza: la forza della compassione.

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