Il tramonto di Lorenzo Dellai

Il tramonto di Lorenzo Dellai

di Pierangelo Giovanetti

Dopo settimane di scontri, accuse reciproche, contestazioni procedurali, minacce di scissioni, ieri il congresso dell'Upt ha sancito la fine dell'epoca Dellai e l'uscita del fondatore dal partito. L'ex governatore ha perso e se n'è andato, senza sottoporsi alla conta dei voti, che lo avrebbero visto sconfitto probabilmente con il 70% e più di voti a favore di Tiziano Mellarini, il nuovo segretario. Con il congresso di ieri si chiude un ciclo storico, quello che aveva visto il giovane Lorenzo Dellai ai vertici della politica trentina dalla metà degli anni Ottanta, vicesegretario della Dc a fianco di Paolo Piccoli, fino ad oggi.

Trent'anni come leader indiscusso e indiscutibile, uomo di potere e di governo. Fondatore di partiti di cui è sempre stato il padre e il padrone. Questo gioco si è rotto. Stavolta il partito da lui fondato ha detto no. Il suo popolo e i suoi elettori nelle assemblee di valle hanno bocciato l'idea di un nuovo partito, l'ennesima giravolta tra le tante degli ultimi anni. E proprio l'idea di poter disporre del partito a piacimento, piegandolo ai suoi voleri, ha fatto fare a Lorenzo Dellai l'azzardo di volere contrapporsi a tutto e a tutti, nella presunzione che solo per il fatto di mettere il proprio nome in campo, tutti si sarebbero allineati. Questo lo ha portato ad infilarsi in un vicolo cieco, senza via d'uscita, rifiutando ogni mediazione (a cominciare da quella di Tonina), alzando i toni dello scontro e della battaglia procedurale, finendone alla fine travolto.


Probabilmente malconsigliato dal piccolo cerchio di soliti noti di cui si è circondato, con in testa l'ex senatore Mauro Betta esperto di sconfitte elettorali, Dellai ha giocato il tutto per tutto per la sopravvivenza, per ottenere la certezza della ricandidatura alle prossime elezioni. Non aveva granché senso, infatti, che il governatore per tre legislature della Autonoma Provincia di Trento, già sindaco del capoluogo, deputato e capogruppo nazionale, Padre della Patria e presidente della Commissione dei 12, scendesse in campo candidato per la segreteria del terzo partito della coalizione. Si misurasse alla conta dei voti per raccogliere l'eredità della Conzatti. Facesse il deputato nazionale e il segretario a Trento. Lo statista e il capobastone.

L'aver cominciato a far politica molto giovane, prima degli altri, gli ha messo addosso l'ansia del dopo, della ricandidatura, di cosa fare qualora non fosse più eletto. Ammorbato dalla malattia della poltrona (o del potere) che ha avvelenato anche la sua ultima legislatura da presidente della Provincia, risultata la più modesta, priva delle intuizioni e della visione che hanno caratterizzato la storia politica di Dellai per molti anni. 


Ora Lorenzo Dellai fonderà un suo nuovo partito. Un qualcosa strutturalmente legato al Pd ma non Pd, una specie di Democrazia solidale, come quella lanciata mercoledì scorso in Parlamento con il suo gruppo di reduci della Civica di Monti, che è stata praticamente ignorata da tutti, senza nemmeno una riga di attenzione sui giornali nazionali o nei Tg. Il tempo dirà se il suo progetto ha qualche chance, anche se l'idea sa tanto di secolo scorso, quando la sinistra per andare al governo doveva avere a fianco un partito di centro (la Margherita) e un leader di centro (Prodi), altrimenti non riceveva i voti per governare. Ora questo scenario non esiste più. Non esiste più in Europa, ma non esiste più neanche in Italia. Con la nuova legge elettorale dell'Italicum conta il partito, non lo schieramento e le alleanze. Conta il Pd, non chi gli è a fianco a far da cespuglio. E la contesa sarà fra Pd, 5 Stelle e Centrodestra, polarizzando le scelte. Non ci sarà spazio politico per centri e centrini dello zero virgola. Quell'epoca è probabilmente finita per sempre.

Uno spazietto, semmai, c'è per i partiti locali, realtà come il Patt e anche l'Upt, che mantengono la loro identità a livello locale, governando come centrosinistra autonomista, hanno le loro liste alle Comunali e alle Provinciali, ma poi alle Politiche e alle Europee fanno l'accordo con il Pd, come il Patt (e l'Upt nei collegi) hanno già fatto nel 2013, portando a casa peraltro due parlamentari ciascuno. Spazio per altre formazioni simil-Pd non ve ne è, e sarà proprio la legge elettorale a dimostrarlo, costringendo le formazioni minori a gravitare sul Pd e ad entrare in lista col Pd (o con gli altri due poli) per avere qualche eletto. In Trentino con i collegi elettorali le cose sono leggermente diverse, visto che i tre partiti di governo esprimono i loro candidati in base ai loro rapporti di forza. Dei quattro collegi, il Pd chiederà presumibilmente due candidati, uno il Patt e uno l'Upt.


Con l'uscita dall'Upt, che non può più controllare, per Dellai rischia di non esservi alcuna porta aperta, a meno che il Pd non ceda uno dei suoi due collegi (cosa alquanto improbabile), o che da Roma venga imposto il nome di Dellai almeno per il proporzionale. Ma questo richiederà per lo meno che Lorenzo Dellai entri nel Pd, ma non a cavallo come pretendeva, comandando e facendola da padrone, ma con un bagno di umiltà, che in politica è virtù ma di cui Dellai è sempre stato privo. Si vedrà nel 2018 (o nel 2017 se Matteo Renzi andrà a elezioni prima, dopo il referendum), quali saranno le chance concrete dell'ex governatore. Anche perché nel frattempo non c'è nessuna elezione intermedia che misuri la sua effettiva attuale forza elettorale (assai scarsa dai risultati di ieri, come pure da quelli del Cantiere democratico delle scorse Comunali).

Questo il triste viale del tramonto di un leader che ha impersonificato per almeno due decenni la politica del Trentino e dell'Autonomia. Per quanto riguarda l'Upt che è uscita dal congresso di ieri, i fatti e le conseguenti scelte politiche diranno se imboccherà una via di «gretto cantonalismo» come metteva in guardia Alcide De Gasperi, facendo battaglie di piccolo consenso territoriale (punti nascita aperti anche dove le partorienti non partoriscono più), o se invece saprà darsi un'identità popolare, ma aperta e riformista dell'Autonomia. Da oggi bisognerà prendere in mano i cocci del partito, e cercare di rimetterli insieme, e di costruire il dopo-Dellai, diventando adulti.

Ora l'Upt ha fatto il salto, scrollandosi di dosso la condizionante briglia di essere «il partito del presidente». Dovrà dimostrare nei fatti che sa camminare da sola, con le sue forze e capacità, sforzandosi di elaborare pensiero politico (a cui finora provvedeva Dellai) e classe dirigente, anche sul territorio. I destini di Dellai e della sua creatura si sono per sempre divisi. Si vedrà se questo significherà la fine di entrambi, o se qualcosa di diverso potrà nascere e maturare.

p.giovanetti@ladige.it
Twitter: @direttoreladige

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