Senato Autonomie, riforma da approvare

di Pierangelo Giovanetti

S ettimana prossima si decide il futuro della riforma del Senato, e quindi della tenuta del governo Renzi e la continuazione o meno della stagione delle riforme. Se in Commissione il disegno di legge non si sblocca passerà direttamente al Senato per il voto. E lì si vedrà. Il tema non appassiona l'opinione pubblica, che non comprende l'accanimento di una parte delle forze politiche verso un testo (già approvato da entrambi i rami del Parlamento) che riduce notevolmente il numero dei parlamentari (e quindi i costi della politica), e semplifica il funzionamento legislativo e di governo, a cominciare dal voto di fiducia che spetterà solo alla Camera. In realtà, la partita grossa che sta giocando una parte del ceto politico è volta a far saltare il tavolo per evitare qualunque cambiamento, e quindi mantenere tutto come prima con due camere parlamentari che fanno le stesse cose, e la presenza di mille parlamentari (con relative prebende), di cui sperano di far parte anche nella prossima legislatura.

In secondo luogo l'obiettivo è di far saltare il governo Renzi, cioè di farlo fallire sul tema delle riforme, cavallo di battaglia del premier, e quindi tornare come prima, anche con il Pd di prima, quello di Bersani al 25%. La richiesta della minoranza del Partito democratico di fare marcia indietro rintroducendo l'elezione diretta dei senatori non ha altro obiettivo che questo, visto che costringerebbe a riazzerare l'intera riforma, e tornare punto e a capo.
La strumentalità delle rivendicazioni della minoranza Pd è evidente: da sempre la posizione del Pd e prima ancora dei Ds è stata favorevole al superamento del bicameralismo perfetto, inutile e dannoso, per differenziare il Senato in una Camera delle Autonomie, espressione dei territori.

Se così è, se il Senato deve rappresentare a Roma le esigenze dei territori, non può che essere espresso dalle istituzioni dei territori, cioè i consigli regionali. Al limite facendo indicare all'elettore, al momento dell'elezione del consiglio regionale, quale consigliere/i andranno a Roma a far parte anche del Senato. Tutto il cancan pretestuoso sull'elezione diretta dei senatori ha messo in secondo piano invece alcuni punti qualificanti su cui la riforma in discussione potrebbe essere migliorata. Questioni importanti anche per l'Autonomia trentina, e per tutte le autonomie regionali. Magari tornando ad alcuni aspetti originari del disegno di legge, che si sono persi nel passaggio e voto alla Camera, e che invece erano stati votati inizialmente dal Senato.

Stabilito che si passa ad un Senato delle Autonomie e non più una fotocopia della Camera dei deputati con le stesse funzioni e una duplicazione inutile di ogni passaggio legislativo, va conferito a tale Senato un maggiore peso dei territori nella politica nazionale, altrimenti era meglio abolirlo del tutto, con un conseguente rafforzamento di centralismo dello Stato su regioni e comuni. Quindi va assegnato al Senato delle Autonomie voce quando si affrontano questioni che hanno una ricaduta diretta sul territorio. A cominciare dalla legge di stabilità, che assegna le risorse alle regioni e agli enti locali. Pertanto più competenze di controllo sulle politiche pubbliche (ovviamente senza diritto di veto, altrimenti siamo daccapo), maggiore ruolo nei rapporti con l'Europa (il Bundesrat tedesco questi poteri li ha, e sono direttamente funzionali alle politiche europee sul territorio), più voce in capitolo nell'elezione dei giudici della Corte Costituzionale. Se vogliamo anche un maggior peso dei territori nell'elezione del Presidente della Repubblica, visto che sarà eletto da 630 deputati e solo 100 rappresentanti delle istituzioni territoriali.

Queste sono modifiche della riforma che avrebbero ricadute positive, senza bloccarla e far fallire un processo di cambiamento istituzionale che si cerca di portare avanti da oltre 30 anni. Se poi si vuole darle ancor più una caratterizzazione regionale, si può rendere automatica l'elezione in Senato del presidente della Regione/Provincia autonoma, che quindi va a Roma quando si discutono temi che riguardano le regioni, senza moltiplicare inutilmente (e costosamente) cariche e poltrone. Per il resto la riforma in discussione nella commissione del Senato è sacrosanta. La fiducia al governo la deve dare una sola camera, la Camera dei deputati, come avviene in tutte le grandi democrazie d'Europa dove il Senato è la voce delle regioni, e non un organismo politico che diventerebbe automaticamente il controcanto della Camera (specie se eletti con due sistemi elettori diversi), in una paralisi totale delle istituzioni e del Paese.

Anche la parte di modifica costituzionale del titolo V, presente nel disegno, diciamolo chiaramente va fatta e approvata in fretta. Purtroppo il sistema delle competenze concorrenti fra stato e regioni, introdotto nel 2001 si è dimostrato un fallimento totale. Abbiamo visto in questi anni la follia di duplicazioni assurde, per esempio nelle politiche turistiche, con costi elevatissimi e nessun risultato concreto se non per quanti nelle regioni ci hanno mangiato sopra. Per non parlare dei conflitti costituzionali fra regioni e stato, che sono esplosi in maniera esponenziale, causando il blocco delle istituzioni ma una manna infinita per avvocati e patrocitatori dediti a cause sterminate e senza senso.

Proprio per questo, stabilendo in maniera chiara cosa cosa spetta fare allo stato e ciò che spetta alle regioni, diventa di grande utilità un Senato delle Autonomie, come camera di compensazione fra stato e regioni. Certo le regioni perderanno alcuni poteri, ma va riconosciuto che quando li hanno avuti li hanno gestiti malissimo. Per noi in Trentino Alto Adige di fatto non cambia nulla perché con la clausola di salvaguardia introdotta per le Autonomie speciali, ogni modifica che ci riguarda deve essere recepita da norma di Attuazione, e quindi da intesa bilaterale. Quanto poi alla rappresentanza parlamentare, il Trentino Alto Adige finirà per guadagnarci in termini di peso istituzionale. Ai suoi 11 parlamentari di collegio, unirà i quattro senatori (presumibilmente i due presidenti di Provincia autonoma e i due sindaci del capoluogo). In tutto 15, tenendo presente che ora al Senato i nostri sette senatori contano come sette su 315, poi saranno 4 su 100, cioè una percentuale molto più alta.

Se vogliamo l'unico aspetto opinabile è che le minoranze politiche del Trentino Alto Adige non avranno più rappresentanza restandosene per conto proprio, ma dovranno per forza di cose coalizzarsi con una delle due-tre liste che si giocano il governo del Paese. E l'elezione nel collegio potrà avvenire, se vince quella lista con cui si è fatto l'accordo. Le prossime due settimane saranno decisive per decidere le sorti della riforma. Invece di sprecare tempo e energie politiche per fare ostruzionismo e far saltare la riforma, sarebbe più utile a tutti, a cominciare dal Trentino Alto Adige, lavorare per apportare questi alcuni miglioramenti, e smetterla una volta per tutte con il catastrofismo gattopardesco di chi paventa chissà quali conseguenze dalla riforma con il solo scopo che non si tocchi nulla e resti ogni cosa come prima.

p.giovanetti@ladige.it
Twitter: @direttoreladige

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