La fame nel mondo ancora un'emergenza

La fame nel mondo ancora un'emergenza

di Sandra Tafner

C' è una foto bellissima pubblicata nei giorni scorsi: una mamma allatta il suo bambino, lei gli sorride e lui la guarda estasiato. La foto accompagna una serie di dati statistici che, pur sottolineando una tendenza positiva, fanno davvero impressione. Nel 1990 erano 12 milioni e 700 mila i bambini deceduti prima dei cinque anni, oggi sono «soltanto» 6 milioni. Quindi si è ridotta e di molto la mortalità infantile e questo è uno degli obiettivi raggiunti dal Millennio, il documento programmatico del 2000 messo a punto dall' Onu. Che non si possano fare miracoli è scontato, ma altrettanto scontato sarebbe interrogarsi sulle cause dei tanti mali che affliggono il mondo e che potrebbero invece essere, se non del tutto eliminati, sicuramente ridotti solo se l'umanità, e soprattutto chi ne ha in mano le sorti, diventasse più giusta e più saggia. Andrebbero pertanto affrontati e risolti i problemi della denutrizione, della mancanza di cure, dei maltrattamenti. Elenco lungo che non finisce qui. 

Il prossimo traguardo è fissato per il 2030, ma intanto restano nel mondo 870 milioni i denutriti e gli affamati. Ottocento e settanta milioni. Sarebbe fondamentale affrontare il tema nelle scuole per informare i giovani e farli riflettere, contribuendo a rendere migliori le generazioni future. Qualcuno già lo fa andando oltre i numeri, perché le cose impressionano di più se raccontate, se rafforzate da esempi ed immagini. Lo ha fatto nei mesi scorsi anche la Commissione educazione alla solidarietà e alla pace proponendo agli alunni delle quarte elementari dell'Istituto comprensivo di Riva un incontro per parlare delle condizioni di quei bambini. Allora, ascoltando le parole di giornalisti che hanno tastato dal vivo certe situazioni estreme, diventa più comprensibile e più immediato il panorama di coetanei che muoiono perché i grandi fanno la guerra e sfruttano le persone e sono indifferenti alle sofferenze. Non esiste cibo per placare la fame e non c'è acqua per placare la sete e gli occhi dei bambini diventano sempre più grandi e la pancia sempre più gonfia. Muoiono. Ma muoiono di sfortuna per le colpe commesse dagli altri. 

E non soltanto i bambini. Anche qui certe immagini arrivano come tanti pugnali. Basti dire delle migliaia di migranti che trovano la quiete del corpo e dello spirito in fondo al mare o che la cercano disperatamente scappando dalla malvagità dei propri simili. Basta migranti è la risposta, uno slogan che sta raccogliendo sempre maggiori adesioni. I migranti diventano una parola, neanche non fossero persone. Così è più facile colpirli anzichè risalire alle cause, più facile prendersela con gli sfruttati perdendo di vista gli sfruttatori. I più deboli sono preda e le schiere si ingrossano nei tempi di crisi. Ma le cause della crisi? Che importa, sono le conseguenze che fanno paura e che danno fastidio. Come i mendicanti sulle strade, spesso strumento di chi si arricchisce in maniera inversamente proporzionale alla loro miseria, di chi ne calpesta la dignità rafforzando nella gente l'egoismo di difesa.

Mendicanti sulle strade e davanti alle chiese, forse nella convinzione che il crocifisso li protegga, senza fare i conti però con le proteste dei fedeli. E allora vengono organizzate le ronde con l'appoggio di un parroco e l'aiuto di un sagrestano, come è successo in qualche chiesa del vicentino o a Mestre e a Genova con i vigilantes che tengono alla larga i molestatori dalla casa del Signore. E a Cagliari, dove però il direttore della Caritas rettifica il tiro prendendosela con la politica che non sa o non vuole combattere la povertà. Dice: bisogna creare percorsi d'accoglienza, non perseguire chi stende la mano. È già un altro modo di vedere le cose, ma purtroppo non basta per risolverle.

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