Vita su altri mondi

Vita su altri mondi: ma come stabilire contatti?

di Christian Lavarian

Quattro secoli fa Galileo volgeva, primo scienziato nella storia dell’umanità, il suo rudimentale cannocchiale verso le stelle. Da allora l’Universo ci ha svelato molti dei suoi misteri, ma altrettanti, è certo, rimangono ancora da scoprire, celati nelle profondità dello spazio siderale.
Oggi siamo addirittura in grado di spedire dei radiomessaggi verso stelle lontane, nella speranza che ci sia qualcuno ad ascoltarli: sarebbe entusiasmante scoprire su uno di quei mondi una civiltà extraterrestre che si pone le nostre stesse domande sull’Universo.

Le ricerche volte all’individuazione di intelligenze extraterrestri, che vanno sotto il nome generico di S.E.T.I. (Search of Extraterrestrial Intelligence) sono numerose: la presenza di pianeti, anche di tipo terrestre, attorno alle stelle è un’osservazione ormai consolidata, ma nulla possiamo ancora dire relativamente alla presenza, su tali corpi planetari, di civiltà intelligenti.

Come potremo entrare in contatto con esse? Viaggiare direttamente su altre stelle è tecnologicamente impossibile, per ora, e quindi l’unica speranza è una comunicazione a distanza: i radiotelescopi, che sono in grado di rilevare un’emissione elettromagnetica di tipo radiofonico (o televisivo) a distanze di decine d’anni luce, sembrano al momento gli strumenti ideali. I problemi tuttavia non mancano: dove puntare gli strumenti e su quale frequenze sintonizzarsi? Non tutti i pianeti scoperti finora (diverse migliaia) sono adatti ad ospitare la vita e sono pochi quelli ti tipo terrestre che orbitano attorno a stelle simili al Sole: l’attenzione va concentrata su questi ultimi. Per ciò che riguarda la frequenza di ascolto si può supporre che una civiltà extraterrestre scelga di comunicare su una banda poco disturbata dalle sorgenti naturali, in modo tale da far pensare ad un’origine artificiale del segnale: l’intervallo fra i 1420 e 1665 MHz (la cosiddetta «pozza dell’acqua») sembra una buona opzione. Anche così però le frequenze da analizzare sarebbero un numero enorme: un po’ come avere un telecomando con 200 milioni di canali e non sapere neppure se qualche «emittente» sta trasmettendo in questo momento.

Questo è ciò che si sta facendo attualmente, utilizzando diversi radiotelescopi nel mondo per «ascoltare» lo spazio profondo con tecniche che non interferiscono con le altre ricerche e possono essere condotte in parallelo. Nessun progetto però ha portato finora a risultati positivi: in molti sostengono che civiltà più evolute della nostra potrebbero adottare tecnologie di comunicazione a noi completamente sconosciute: il nostro pianeta potrebbe essere letteralmente immerso in questi segnali che non siamo in grado, per ora, di riconoscere. Le nostre onde radio, per queste intelligenze, potrebbero essere l’equivalente tecnologico del tam-tam di tamburi.

Ma perché dedicare tempo, energia e risorse economiche a queste ricerche che paiono avere così poche possibilità di successo? Perché, dicono gli scienziati promotori dei progetti S.E.T.I., lo scambio di informazioni che seguirebbe ad un «primo contatto» avrebbe un valore incalcolabile: potremmo acquisire in poco tempo conoscenze scientifiche che altrimenti richiederebbe migliaia di anni per essere raggiunte.

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