Sì al trilinguismo ma va organizzato meglio

Sì al trilinguismo ma va organizzato meglio

di Loris Taufer

Come ogni riforma che si rispetti la proposta della Giunta provinciale sul potenziamento delle lingue comunitarie tedesco e inglese nella scuola sta facendo discutere la comunità trentina, segno positivo di vivacità culturale e interesse per il futuro dei nostri ragazzi. Quel che è importante è non perdere la capacità di ascolto delle reciproche ragioni, per arrivare alla  realizzazione di un progetto, quello di un Trentino trilingue, che, se ben congegnato, può migliorare radicalmente il nostro sistema formativo. D’altra parte il fatto che il Piano sul Trentino trilingue preveda una gradualità di realizzazione da qui al 2020, che si siano acquisiti importanti finanziamenti dall’Unione Europea (circa 36 milioni), che si sia firmato un Protocollo d’intesa con il Ministero dell’Istruzione, che ci si faccia assistere da esperti internazionali (come J. C. Beacco e G. Langè), lascia ben sperare sugli esiti di questo progetto, il quale comunque deve vedere coinvolte le diverse parti sociali e tutte le componenti del mondo scolastico.

Infatti, pur in presenza di una proposta articolata e condivisibile, con obiettivi previsti da tempo dall’Unione Europea - si pensi al Libro bianco del 1994 e al Consiglio Europeo di Lisbona del 2000 -, l’impressione è che ci sia stata, finora, da parte dell’Assessorato provinciale all’istruzione, poca attenzione al quadro pedagogico dentro il quale inserire il progetto di realizzazione dei diversi CLIL (Content and Language Integrated Learning). Nel senso che è vero che la scuola trentina dispone dei Piani di studio provinciali, approntati pochi anni fa, e basati su un apprendimento per competenze, oltre che per conoscenze e abilità. Però una cosa è quanto c’è sulla carta, un’altra quanto avviene realmente nella pratica didattica quotidiana, dentro le classi (ancora troppo chiuse e separate), dove antichi rituali, basati su programmi, spiegazioni-interrogazioni, voti, ecc., in molti casi continuano a sopravvivere.

Adesso, inoltre, la proposta del trilinguismo, con le ore previste per i CLIL, cambierà, per molti versi le competenze in uscita (anche in senso positivo!) dei nostri ragazzi e il loro profilo formativo. Questo è ovvio, dato un differente utilizzo delle ore scolastiche a disposizione. L’importante è che se ne abbia consapevolezza, che non lo si occulti ed anzi se ne faccia oggetto - soprattutto da parte di chi guida il sistema scolastico trentino - di una specifica riflessione pedagogica, che può dare indicazioni preziose a chi poi è chiamato, quotidianamente, ad agire sul campo. Un quadro pedagogico chiaro è utile per avere strumenti di valutazione dell’azione educativa complessiva che si viene a determinare col trilinguismo, per sottrarsi alla pratica di «aggiungere» contenuti e discipline, quando si tratta invece di togliere ed essenzializzare, per riuscire a fare una proposta precisa all’Invalsi (come previsto anche dal Protocollo d’intesa col Ministero) su delle prove di valutazione per i nostri studenti che tengano conto del loro specifico percorso formativo.
Dopo di che c’è il «come si fa scuola», quel che succede realmente, dentro le aule scolastiche, nel lavoro dei ragazzi coi loro docenti.

Marco Rossi Doria, famoso maestro elementare e sottosegretario all’Istruzione dal 2011 al 2014, ha detto di recente che nelle scuole italiane uno degli elementi più penalizzanti è la imperitura pratica della lezione di tipo trasmissivo, dove l’insegnante parla e gli altri dovrebbero ripetere quel che ha detto. Bisogna, invece, far sì che «gli insegnanti, nel loro lavoro, siano chiamati a costituire un laboratorium, nel quale la tensione allo scoprire arrivi a un corpo stabilito di conoscenze convenute, ma attraverso un ricco processo non trasmissivo». Ebbene questa pratica laboratoriale, attiva e di ricerca, ancora insufficientemente attuata anche nelle scuole trentine, potrebbe essere fortemente rilanciata con l’introduzione dei CLIL, che si caratterizzano per questo tipo di didattica. Questo, evidentemente, dopo un’attenta progettazione che richiederà anni di lavoro, di formazione dei docenti, di monitoraggio e di valutazione dei risultati. E l’esito potrebbe essere una più generale innovazione educativa al fine, in particolare, di creare maggior motivazione negli studenti, lavorando quindi sull’intenzionalità nei processi di crescita, piuttosto che sui richiami moralistici e valutativi.

Infine - anche rispetto a quali discipline coinvolgere nell’attuazione dei CLIL - dobbiamo tener presente che oggi, come dicono in tanti, la multimedialità, la connettività e la crescente rapidità nell’accesso alle informazioni da parte di tutti, fanno cadere le tradizionali barriere tra la discipline, alle quali è ancora troppo legata la scuola e la didattica quotidiana.

Oggi, non a caso in Finlandia, sempre ai primi posti al mondo per il suo sistema scolastico, si sta sperimentando da due anni una riforma scolastica molto ambiziosa: non insegnare più le discipline tradizionali, ma invece, in maniera sistemica, singoli e grandi argomenti.
Ecco, anche questo va tenuto presente quando si parla di introdurre il CLIL per quanto attiene lo studio di alcune discipline. Per una fase intermedia può andare benissimo. Però se vogliamo veramente lavorare per una scuola più in sintonia coi tempi che viviamo, ricca di senso prima di tutto per i ragazzi che la frequentano, la introduzione dei CLIL deve essere realmente l’occasione per una miglioramento generale del nostro sistema formativo.
Questo perché alla fine i nostri ragazzi padroneggino effettivamente due lingue straniere come tedesco e inglese, ma dentro delle scuole che formano cittadini attivi e responsabili, critici ed autonomi.

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