I 120 milioni dei Salesiani

La Congregazione dei Salesiani riceve 120 milioni di euro di eredità da un ricco nobile. Ma poi c'è da pagare la percentuale ai notai, e anche gli eredi del nobiluomo si fanno avanti per avere la loro parte. I Salesiani sostengono che alcuni atti di perizia dei beni (terreni e palazzi) sono stati "gonfiati" per aumentare la percentuale, ma il Tribunale dà loro torto. Ora la Congregazione potrebbe ritrovarsi sull'orlo di un dissessto per i milioni che deve pagare. E spuntano "contatti" di prelati vaticani.

di Luigi «Gigi» Zoppello - No

Non c'è stata truffa ai danni della Congregazione dei Salesiani: il gip del tribunale di Roma ha messo la parola fine ad una intricata vicenda penale che rischia di avere serie ripercussioni su una altrettanto complessa, e collegata, questione civile in cui sono in ballo 120 milioni di euro nella disponibilità della Congregazione, posti sotto sequestro. La vicenda giudiziaria è quella relativa all'eredità di Alessandro Gerini, il "marchese di Dio", il cui patrimonio venne lasciato alla "Fondazione" che porta il suo nome, un ente ecclesiastico controllato dall'ordine religioso fondato da don Giovanni Bosco. Tutto risale a 22 anni fa, il 5 giugno 1990, quando Gerini  muore a Roma. Alla Fondazione lascia una ricchissima eredità fatta di terreni, denaro contante, opere d'arte e immobili. Una decisione che viene impugnata dai familiari del marchese dando vita ad una serie di cause, sia in sede civile che canonica, che si trascinano per anni.
   La storia finisce per assumere anche aspetti penali quando entrano in gioco alcuni mediatori tra cui il faccendiere Carlo Moisè Silvera, l'avvocato milanese Renato Zanfagna e Enrico Scoccini. I tre sono protagonisti di  n trattativa tra le parti in causa per trovare un accordo.    L'8 giugno del 2007 viene finalmente siglata un'intesa in sede civile che prevede il versamento di circa 16 milioni da parte della Fondazione: di questi cinque  ilioni vanno ai nipoti di Gerini, 11 e mezzo finiscono a Silvera che li ha rappresentati. Ma l'accordo prevede anche che la percentuale destinata all'intermediario, già ricca, debba essere ulteriormente aumentata, dopo la stima complessiva del patrimonio. Un'incombenza affidata ad una commissione di periti, presieduta appunto dall'avvocato Zanfagna, che stima il valore dei beni in 658 milioni di euro. La percentuale di Silvera sale, così, alla  bellezza di 99 milioni di euro.
   La Fondazione però decide di non ottemperare a quell'accordo e Silvera chiede ed ottiene il sequestro di beni per 120 milioni di euro. Sequestro che viene bloccato per effetto di una denuncia per truffa che la Fondazione controllata dai Salesiani presenta nei confronti dei protagonisti dell'accordo (Silvera, Zanfagna e Scoccini): secondo l'esposto degli ecclesiastici il valore dell'eredità sarebbe stato gonfiato a dismisura per aumentare la somma destinata a Silvera. In campo scende in prima persona lo stesso segretario di Stato Vaticano, Tarciso Bertone, che con una missiva inviata al gup Adele Rando ha chiesto di non mandare in archivio il procedimento. Richiesta che però non ha avuto successo. Nell'ordinanza di archiviazione il giudice - facendo riferimento ai precedenti, anche giudiziari, di alcune delle persone coinvolte - scrive che le "qualità personali  degli indagati non sono comunque determinanti ai fini della rilevanza penale delle condotte": "l'esame del giudice è stato fondato su 'compravate circostanze di fattò e non sul curriculum  criminale che assume rilievo  soltanto nella fase cautelare e sanzionatoria del processo".
   Alcuni degli indagati - altra circostanza poco chiara - sono riusciti ad entrare in stretti rapporti con alti prelati, ma per il giudice sarebbero "superflue" ulteriori indagini volte a "verificare le ragioni per le quali taluni  soggetti avrebbero avuto accesso alle alte gerarchie ecclesiastiche"; e ciò perchè "l'intera vicenda resta circoscritta, pure nella sua complessità, all'ambito civilistico".  Ed è appunto sul piano civile che si giocherà ora la partita. In ballo ci sono i 120 milioni posti sotto sequestro e la provvigione multimilionaria rivendicata dal mediatore: il rischio, ventilato da più parti, è che venga minata la solidità economica dei Salesiani. Dalla Congregazione solo un secco commento: "la Direzione Generale Opere Don Bosco - si legge in una nota - non può che ribadire il proprio massimo rispetto per le decisioni della Magistratura italiana. Naturalmente, una volta avuta conoscenza del testo del provvedimento, saranno valutati gli ulteriori passi da compiersi".

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