Se lo «scudo fiscale» arriva in ambienti non previsti

di Renzo Moser

Dici «scudo fiscale» e a cosa pensi? Ai capitali portati all’estero illegalmente, ovvio; pensi al «Cumenda» con la fabbrichetta, che invece di pagare le tasse porta i rotoli di banconote in Svizzera, e li nasconde nel caveau di una banca; pensi all’imprenditore senza scrupoli, che invece di pagare i contributi per la pensione dei propri dipendenti alimenta i conti fantasma di qualche oscura finanziaria in un paradisco fiscale; pensi, nella peggiore delle ipotesi, alla criminialità organizzata che ricicla, proprio grazie allo «scudo» i proventi di qualche losco traffico. Insomma, pensi e immagini tante cose, ma non ti verrebbe certo in mente un menestrello dell’era moderna, uno che «artisticamente nasce con la generazione dei cantautori degli anni Settanta», come lui stesso spiega nel suo sito; uno che ha lavorato con gente come Paolo Rossi e Sabina Guzzanti; uno che «sfugge grazie alla sua poliedricità ai più comuni cliché artistici», uno che «che sa trasformare la sua esperienza in qualcosa che serva anche agli altri, che non trasforma il sapere in potere, che ha un’idea sentimentale del comunicare». Per farla breve, non ti verrebbe in mente uno come David Riondino. Perché Riondino è uno di quelli «buoni», è uno che sta dalla parte giusta, uno che non è come quegli altri.
E invece scopri che lo «scudo fiscale», come cantava proprio Paolo Rossi in un pezzo di molti anni fa a proposito della cocaina,  arriva anche «in ambienti non previsti».
David Riondino è stato truffato, come altri suo colleghi, dal cosiddetto Madoff dei Parioli. Ci ha rimesso molti soldi, e di questo se ne occuperà la giustizia. Proprio testimoniando in aula, Riondino ha ricordato di aver «scudato» il suo capitale, proprio come un «Cumenda» qualsiasi. E, a margine, ha detto di essere favorevole «agli scudi», perché consentono di regolarizzare situazioni che regolari non sono. Ma Riondino ha forse dimenticato che per mettersi in regola basta non occultare i capitali al fisco, e pagare le tasse, come tutti i «tartassati» d’Italia, artisti e non. Per tutti questi, non c’è bisogno di uno «scudo».

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