Non facciamoci illusioni Le pensioni vanno toccate

di Renzo Moser

Qualche giorno fa, in un illuminante pezzo di tre economisti della voce.info pubblicato sul nostro giornale, abbiamo letto come l’enorme debito pubblico italiano, accumulato prevalentemente tra il 1965 e il 1995, non sia stato minimamente utilizzato a fini produttivi.
Quei soldi sono invece serviti per pagare lo stipendio a impiegati pubblici e generose pensioni. Oggi sembra fantascenza, ma fino a non molti anni fa, c’erano categorie di dipendenti pubblici che potevano andare in pensione appena oltre la soglia dei 40 anni, talvolta addirittura prima.
L’analisi ha mostrato che a beneficiare di questi assurdi privilegi è stata soprattutto la generazione nata tra il 1940 e il 1950. I loro figli pagano duramente per quei privilegi.
I quarantenni di oggi non possono contare su servizi pubblici paragonabili a quelli garantiti ai loro padri (pensiamo solo all’edilizia popolare o agevolata), e tantomeno possono coltivare il sogno di andare in pensione ancora «giovani».
Il conto è stato presentato a questa generazione, e questa generazione ha iniziato a pagarlo. Quella successiva, lo abbiamo visto con il movimento dei cosiddetti «indignati», teme di fare la stessa fine. E infatti lo slogan più gettonato è questo: non pagheremo NOI per la VOSTRA crisi.
Non hanno tutti i torti: l’errore più grande che possiamo fare oggi è quello di scaricare le colpe dei padri, se mi permettete l’espressione, sui nipoti, dopo aver bastonato anche i figli. Intervenire adesso sull’età pensionabile, allora, non può essere un tabù. Non facciamoci illusioni, prima o poi toccherà farlo. E allora è meglio farlo prima che poi.
Quando il primo governo Berlusconi presentò la sua riforma delle pensioni, scesi in piazza, come tanti altri coetanei, per protestare contro quella che mi appariva una somma ingiustizia. Quella volta, credo proprio di essermi sbagliato. 

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