Il sindaco giusto? Un maestro dei cittadini

di Paolo Ghezzi - NO

Sappiamotutti che le città dell'uomo sono un gran bazar di ogni umanamercanzia: spacciatori e soccorritori, furfanti e santi, generosi edegoisti, furbi e idealisti, ladri e donatori, liste di approfittatori eliste di altruisti. Ci sono i 400 beneficiati del costruttore Anemone(inclusi quelli che, sbadatissimi, non si accorgono neppure se qualcunogli compra un appartamento a Roma centro) ma ci sono anche i 400(quattrocento!) volontari della mensa dei Cappuccini di Trento che - aturni di dieci - ogni pomeriggio che Dio o Allah o il Fato o il Casomanda in terra, danno da mangiare ad almeno 150 poveri, immigrati,emarginati di ogni razza, colore e lingua che la torre di Babele abbiacreato.
Essendo le città e i paesi questi grandi o piccoli bazar di umanità, ilsindaco (dal greco SYN: con, insieme; e DIKE, giustizia), non dovrebbeessere un boss di piccolo o grande potere: un “podestà”. Ma invece,appunto, un primo cittadino che governa CON e PER i suoi concittadini ocompaesani. E lo fa con giustizia, cioè senza liste di preferiti, diprivilegiati, di beneficiati, di piccoli o grandi potenti da omaggiaree lisciare. Un Bürgermeister,come dicono i nostri cugini sudtirolesi: un maestro, un campione, ilprimus inter pares dei cittadini, il capoclasse del paese o dellacittà: che non dimentica di essere appunto Bürger, prima ancora di Meister.
Tra i mille volti che ci sono stati proposti in questa campagnaelettorale - di candidati alla carica di sindaco che oggi sapranno sehanno vinto o se hanno perso, se saranno sindaci in carica o sindacimancati - ciascuno di noi ha riconosciuto qualche persona nota, forseaddirittura familiare. Ci sono sindaci onesti e sindaci trafficoni, cisono sindaci imparziali e sindaci faziosi, ci sono sindaci che restanopoveri e sindaci che si arricchiscono. Alcuni che se li conosci lieviti, altri che se li conosci li voti, perché non è vero che sonotutti uguali.
Un sindaco d'altri tempi, un sindaco piuttosto anomalo, un sicilianuzzoapprodato sull'Arno a governare Firenze, di nome Giorgio La Pira, forsematto forse santo, che dalla capitale della Toscana pensava diesportare la pace universale, quanto al mestiere di primo cittadino lametteva giù piuttosto semplice:  Ilmio no alla disoccupazione ed al bisogno non può che significarequesto: che la mia politica economica deve essere finalizzata dalloscopo dell’occupazione operaia e della eliminazione della miseria: èchiaro! Nessuna speciosa obbiezione tratta dalle cosiddette leggieconomiche può farmi deviare da questo fine.
E al nostro santo De Gasperi, che lo accusava di fare così il gioco dei comunisti, il santo La Pira rispondeva:Il gioco dei comunisti lo fanno tutti coloro - operatori economici eduomini politici - che disconoscendo la santità e l’improrogabilità delpane quotidiano (procurato col lavoro) gettano nella disperazione enella radicale sfiducia i deboli.
Quel matto di La Pira. Così matto, santo o semplicista che pensava -facendo il sindaco - di dover lavorare alla  “giustizia fraterna”. Unsostantivo e un aggettivo pazzescamente fuori moda, fuori corso,fuorilegge. Che quel sicilianuzzo matto traduceva in 4 obiettivi cosìvecchi che oggi - in tempi di crisi - ci sembrano nuovissimi. Per dirlacon le sue parole: 1) lavoro per chi ne manca; 2) casa per chi ne èprivo; 3) assistenza per chi ne necessita; 4) libertà spirituale epolitica per tutti.
Buon lavoro, cari sindaci, maestri cittadini.

comments powered by Disqus