Marocco / Il caso

Marocco, il piccolo Rayan è morto: è stato estratto dal pozzo senza vita

Enorme lo sconforto per tutti coloro che per ore, giorni e notti, hanno seguito i lavori dei soccorritori, impegnati in un'operazione di salvataggio titanica, scattata già martedì scorso quando il bambino, che stava giocando in un campo, è precipitato in quel buco nero, in quel pozzo di proprietà della famiglia

RABAT.  Oltre cento ore a 32 metri sotto terra, inghiottito da un pozzo strettissimo, in alcuni punti di soli 20 centimetri di diametro. Ha lottato per rimanere vivo, ma non ce l'ha fatta. Il piccolo Rayan, 5 anni, che per giorni ha tenuto con il fiato sospeso il Marocco ed il mondo intero, mentre una mega operazione di soccorso cercava di salvarlo, è morto.

La notizia è rimbalzata, come una doccia fredda, dopo una decina di minuti da quelle immagini, convulse, rilanciate dalle dirette delle tv che per giorni hanno seguito i soccorsi. Quelle immagini che raccontavano che il bambino era stato recuperato, estratto da quel maledetto pozzo, che avevano fatto tirare un sospiro di sollievo. Lasciando intendere che potesse essere in salvo. Ma la nota della stessa casa Reale del Marocco ha gettato nello sconforto: "E' deceduto per le ferite riportate nella caduta".

Poche parole che riportano alla mente le drammatiche ore di giugno 1981 e la tragedia di Alfredino Rampi a Vermicino. E che hanno gettato nello sconforto tutti coloro che per ore, giorni e notti, hanno seguito i lavori dei soccorritori, impegnati in un'operazione di salvataggio titanica, scattata già martedì scorso quando il bambino, che stava giocando in un campo, è precipitato in quel buco nero, in quel pozzo di proprietà della famiglia.

Un'immensa operazione di salvataggio, tra le mille difficoltà, gli intoppi, i rischi di smottamento, le speranze ma anche le delusioni. Lunghissime giornate in cui i soccorritori non si sono mai dati per persi. A cominciare da Ali El Jajaoui, arrivato da Erfoud, ormai divenuto l'eroe del deserto: quell'uomo, di professione specialista di pozzi, che appena appresa la notizia del bimbo è subito partito dal sud del Paese per raggiungere il villaggio di Rayan.

E ha scavato per ore e ore senza fermarsi, a mani nude dopo che un imponente lavoro di 5 escavatori aveva aperto una voragine che ha permesso si arrivare alla profondità in cui si trovava il bambino. E permesso di realizzare una via di fuga attraverso la posa di tubi che, posizionati orizzontalmente, hanno creato quel passaggio che doveva rappresentare la salvezza. E che invece si è trasformato in un mesto ultimo percorso di Rayan dalla sua trappola. Il bambino aveva provato a resistere in tutti questi giorni: per lui era stato calato nel pozzo un tubo per fornirgli l'ossigeno, l'acqua e un po' di cibo.

Le telecamere che lo avevano raggiunto, rinviavano immagini di lui ferito alla testa che si muoveva e chiamava 'mamma'. Fotogrammi che avevano commosso il mondo e che lasciavano sperare. Come quell'ultimo contatto, solo sabato mattina, con il papà.

"Gli ho parlato, sentivo che respirava a fatica", aveva raccontato l'uomo che insieme alla moglie, ha aspettato per ore, per giorni, quel finale che nessuno voleva fosse una tragedia. Poco prima che Rayan fosse estratto dal pozzo, lui e la moglie erano stati fatti salire sull'ambulanza - dove c'era anche una psicologa - che, all'ingresso del tunnel, attendeva che il bimbo fosse recuperato. E stasera è toccato al Re il triste compito di inviare loro le condoglianze.

Nel primo pomeriggio di sabato tutto era pronto, o così almeno sembrava, quando i soccorritori entravano nel tunnel. Uno alla volta, sistemando corde e giubbotti di protezione e persino una piccola barella. La folla di spettatori pregava. Al grido di Allah Akbar i fedeli si sono raccolti attorno al pozzo dove si era posizionata anche l'equipe medica di pronto intervento, l'ambulanza e un anestetista. Poi però i tempi si sono dilatati, i soccorsi si sono trovati di fronte ad un'altra, l'ennesima, roccia. Poi le distanze si sono accorciate, ma alle 17.30 c'erano ancora 80 centimetri di masso da sgretolare.

Un lavoro di cesello quasi, al ritmo di 20 centimetri l'ora. Un'operazione difficilissima che ha mobilitato le forze marocchine, gli speleologi, i volontari sostenuti dalla comunità locale che per giorni ha preparato il cibo e offerto riparo. "Rayan è vivo, lo tireremo fuori oggi", aveva annunciato nel tardo pomeriggio il direttore delle operazioni di soccorso, l'ingegnere Mourad Al Jazouli. Ma non è andata così, i soccorritori sono riusciti a tirare Rayan fuori dal pozzo, ma per lui ormai non c'era più nulla da fare.

 

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