Scienze / L’annuncio

Scoperti batteri fossili di 3,4 miliardi di anni fa, nel team anche l’FBK di Trento

Microrganismi rinvenuti in Sudafrica, vivevano sotto terra a livello del mare, si nutrivano di metano e ci danno indicazioni anche per il futuro: «Ottimi analoghi per la vita su Marte»

ROMA. Scoperti in Sudafrica antichi microrganismi fossili: risalgono a 3,4 miliardi di anni fa. Dall'aspetto filamentoso, vivevano nel sottosuolo, probabilmente grazie al metano, all'interno di un sistema idrotermale sotto la superficie del mare.

La ricerca è pubblicata sulla rivista Science Advances e parla italiano. Lo studio è coordinato da Barbara Cavalazzi, dell'Università di Bologna, e coinvolge la Fondazione Bruno Kessler, a Trento, l'Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (Inrim) di Torino e l'Università di Torino.

Tutte le analisi indicano che si tratta dei più antichi fossili di Archaea, batteri primitivi che vivono ancora oggi negli ambienti più estremi della Terra.

La scoperta è utile a capire le origini della vita sulla Terra, che potrebbe essere nata proprio in habitat protetti del sottosuolo, e per lo studio di primitive forme di vita microbica su altri pianeti.

Queste strutture filamentose, spiega all'ANSA Cavalazzi, "sono i più antichi e meglio documentati microrganismi vissuti nel sottosuolo. Si tratta di esemplari di microbi fossili molto ben conservati, che erano forse diffusi lungo le pareti di cavità create, diversi metri sotto il livello del mare, da flussi di acqua calda animati da sistemi idrotermali sotterranei. Potrebbe trattarsi - precisa la studiosa - della prima testimonianza di Archaea fossili risalenti al periodo in cui la vita emerse per la prima volta sul nostro Pianeta".

Per Cavalazzi, "la vita nel sottosuolo è, infatti, molto importante. Alcuni dei primi ecosistemi della Terra sono, infatti, nati probabilmente in ambienti sotterranei, alimentati dall'attività vulcanica: quelle che abbiamo trovato sono le più antiche testimonianze mai rinvenute di questo tipo di ambienti". Ma c'è anche un'altra ragione per cui questi habitat dovrebbero essere maggiormente studiati, secondo gli autori della ricerca. "Possiamo, infatti, considerarli - conclude Cavalazzi - ottimi analoghi per Marte, una nuova frontiera per l'esplorazione astrobiologica del Pianeta rosso".

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