Assessora e sindaca? Le donne della Lega contestano il Comune di Trento: "Una questione ideologica"

TRENTO - Le donne della Lega non ci stanno e vanno al contrattacco. Non hanno mai fatto mistero di sentirsi «pari» agli uomini proprio se chiamate con appellativi lasciati al maschile per le cariche istituzionali: deputato, senatore, assessore, consigliere, sindaco. Ritendendo cacofoniche forzature (e forse un po’ sminuenti, perché ancora poco diffuse nell’uso) i corrispettivi «assessora, consigliera, sindaca, deputata». «Il nome di battesimo – dicono in coro – basta e avanza a esplicitare il genere femminile» ha spiegato la deputata Vanessa Cattoi in conferenza stampa presso la sede del Carroccio affiancata dalle colleghe parlamentari, del consiglio provinciale e comunale.

Le linee guida deliberate nei giorni scorsi dalla giunta comunale di Trento, che «insegnano» l’utilizzo del genere nel linguaggio amministrativo nella modulistica e nella prassi amministrativa, non va giù alla pattuglia femminile di politiche e amministratrici della Lega. Per una questione di forma e di sostanza. Di merito e di metodo. «C’è bisogno di libertà di scelta, non di imposizioni» affermano in coro, con fermezza.

«Ci sembra una mossa politica, quella della giunta Ianeselli, che non porta soluzioni ai problemi delle disparità di genere. Una questione ideologica che sottrae tempo e risorse alla macchina amministrativa, con moduli da rifare» sottolinea la capogruppo in consiglio provinciale Mara Dalzocchio. Il metodo seguito dalla giunta comunale non è piaciuto: «Non sono state consultate le componenti femminili di minoranza del consiglio. Non se ne è discusso nel consiglio delle donne, che comprende anche le rappresentanti delle circoscrizioni. Sarebbe stato l’organo deputato a farlo» ha ribadito la deputata Martina Loss, già consigliera comunale e ora circoscrizionale. Molto meglio, dicono all’unisono le donne della Lega, lasciar evolvere i tempi e con essi il linguaggio, perché una vocale cambiata con la forza non dà nulla in più alla condizione femminile. Serviva un processo spontaneo e sedimentato dal basso. Non un’imposizione dall’alto.

«Che non sia stato coinvolto tutto l’arco consiliare è di per sé una discriminazione» aggiunge Cattoi. La pattuglia femminile leghista non accetta le accuse di «benaltrismo»: «Non vogliamo passare per quelle che dicono che i problemi sono ben altri, non quelli lessicali. Ma ci pare evidente che le priorità, soprattutto ora, siano il lavoro delle donne, le politiche di conciliazione, le tariffe dei nidi da abbassare, il welfare, la parità salariale, la lotta alla violenza sulle donne. Sono questi i gap da colmare. Le donne con cui noi parliamo tutti i giorni non si sentono certo discriminate se in un modulo della pubblica amministrazione sono incluse nel termine “cittadini”, senza declinazione al femminile» puntualizzano. «Come diciamo senza problemi “il medico” a prescindere dal genere – sintetizza Bruna Giuliani, capogruppo in consiglio comunale – non vediamo perché “il consigliere” Bruna Giuliani debba diventare “la consigliera”. Soprattutto se è un’imposizione, che forse serve a questa maggioranza solo a lavarsi la coscienza». «Il ruolo politico, poi – ha aggiunto la senatrice Elena Testor – non esaurisce la nostra identità di genere. Se resta al maschile non è un problema. Pensiamo, invece, a aiutare davvero le donne con gli interventi concreti che la Lega, nei 14 mesi in cui è stata al governo, aveva messo in campo: conciliazione casa-lavoro, revenge porn, legittima difesa».

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