Dalla diretta streaming con i 5 stelle alla legge sul testamento biologico

La legislatura numero diciassette è nata nell’incertezza e finisce in un’incertezza ancora maggiore. Ci sono stati il complotto dei 101, la rottamazione di Letta, i mille giorni di Renzi, la rielezione di Napolitano, l’arrivo di Mattarella, la bocciatura dell’Italicum e la sconfitta del referendum. Una legislatura movimentata, che però è arrivata fino alla fine.

La sua storia parte con una sorpresa, che per il Pd è una doccia fredda. Gli elettori, fregandosene dei sondaggi, non fanno vincere Pier Luigi Bersani e premiano gli outsider grillini, entrati alla Camera e al Senato al grido di «apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno».  Lo schiaffo dei grillini a Bersani, in diretta streaming, fa partire il quinquennio sotto cattivi auspici, che diventano pessimi quando i 101 franchi tiratori (la cui identità è ancora oggi misteriosa)  negano  l’elezione di Romano Prodi al Quirinale. In quei giorni di aprile del 2013 sembra che la legislatura sarà stata soffocata nella culla. Ma le cose vanno diversamente: il Pd e Forza Italia trovano  un accordo per rieleggere Napolitano al Quirinale, e i giochi possono partire.

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A Palazzo Chigi il  28 aprile 2013 arriva Enrico Letta, con il suo governo sostenuto da centrodestra e centrosinistra. Letta però  governa  neanche un anno: ha  l’appoggio trasversale di Bersani, di Berlusconi, di Mario Monti. L’opposizione  dei 5 stelle è dura e senza sconti ma non impensierisce il giovane premier. E Renzi  è ancora acquattato ad aspettare il suo momento. Le cose cambiano quando Berlusconi (siamo ad agosto) viene condannato per frode fiscale: i ministri di Forza Italia se ne vanno, la maggioranza, tenuta in piedi da Alfano, diventa più risicata. Poi Renzi vince le primarie e dà la mazzata finale: dopo l’ormai celebre #Enricostaisereno sfiducia il governo e si fa dare il campanello da premier dal «rottamato» Letta.

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Il governo Renzi (nato il 22 febbraio 2014) parte con numeri non proprio blindati, ma il nuovo presidente del consiglio si è coperto le spalle grazie al patto del Nazareno stipulato con Berlusconi.  Il suo governo dura mille giorni, realizza un pacchetto di riforme che vanno dal jobs act (che non piace a sinistra) alle unioni civili (che non piace a destra). Prova a fare una nuova legge elettorale (l’Italicum) che dovrebbe garantire un vincitore sicuro, ma la Corte Costituzionale gliela smonta.

Durante il periodo di Renzi a Palazzo Chigi, si consuma la «cacciata»  di Silvio Berlusconi dal Senato. Per effetto della legge Severino Berlusconi, ormai pregiudicato, non ha diritto di sedere nel Senato. Ma Forza Italia dà battaglia, cercando di dimostrare che la legge non poteva essere retroattiva. È l’assemblea del Senato a dirimere la questione:  il 27 novembre del 2013 vota per la decadenza di Berlusconi, che deve dare l’addio al suo seggio. La legge Severino prevede anche la perdita del diritto di candidarsi e di rivestire cariche pubbliche: sulla questione è atteso il pronunciamento della corte europea dei diritti dell’uomo.

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Un colpaccio di Renzi è senza dubbio l’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale. Napolitano, dopo due anni di straordinari al colle , con un governo solido a Palazzo Chigi e i novant’anni incipienti, ha deciso che poteva anche andare in pensione. Dopo un po' di pretattica, come successore di «re Giorgio» Renzi propone il nome di Sergio Mattarella. È un ex ministro della sinistra democristiana, che venti anni prima ha fatto la guerra a Silvio Berlusconi. Per questo Forza Italia non lo vuole. Renzi non esita a rompere il patto del Nazareno e lo fa eleggere ugualmente.

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Per Renzi il vento cambia improvvisamente alla fine del 2016.
Il presidente del consiglio rischia grosso sulla riforma della Costituzione che prevede la scomparsa del bicameralismo perfetto. Approvata dalle Camere senza i voti dell’opposizione (e la minoranza Pd contraria), la riforma non regge la prova del referendum popolare del 4 dicembre , dove viene bocciata con il 60 per cento di «no». Bruttissimo colpo per Renzi, che non può fare a meno di lasciare Palazzo Chigi.

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L’ultimo atto della legislatura vede in scena il governo guidato da Paolo Gentiloni. L’ex ministro degli Esteri di Renzi parte in sordina, poi perde il sostegno dei bersaniani che lasciano il Pd, ma mano mano che va avanti si conquista un suo spazio. Gentiloni è lontano anni luce dai fuochi d’artificio renziani, mantiene una certa autonomia dal suo predecessore (come quando riconferma alla Banca d’Italia Ignazio Visco, che il Pd voleva mandare via), manda in porto la legge sul testamento biologico (ma non quella sullo ius soli), regge alla botta del caso Boschi-Etruria  e oggi è il candidato naturale per un governo di larghe intese nel caso di stallo post-elettorale. Ma questa è storia ancora da scrivere.

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