Propaganda del nazifascismo Primo sì alla legge che la vieta

La propaganda del regime fascista e nazifascista anche attraverso la produzione, la distribuzione o la vendita di beni che raffigurano persone o simboli ad essi chiaramente riferiti è a un passo dal diventare un reato previsto dal codice penale.

L'Aula della Camera approva la proposta di legge di Emanuele Fiano che prevede la reclusione da sei mesi a due anni per chi fa saluti romani o vende gadget che richiamino i regimi totalitari di destra, con 261 sì, 122 no e 15 astenuti.

Il centrodestra contesta definendo liberticida il provvedimento che ora deve passare al Senato.

Fratelli d'Italia aveva provato, senza riuscirci, a far slittare l'esame del testo a dopo gli altri provvedimenti in calendario per questa settimana.

Contrario alla legge anche il movimento Cinque stelle.

"È una follia discuterlo ora", aveva detto Giorgia Meloni, mentre Ignazio La Russa aveva attaccato con ironia il Pd: "Ora sì che Renzi è antifascista: sta veramente rottamando tutti gli accendini e i portachiavi del disciolto e tanto vituperato partito fascista... E Fiano è solo una foglia di fico". Meloni e La Russa hanno radici politiche nelle organizzazioni del Movimento sociale italiano (Msi), partito che fu fondato nek 1946 da reduci della Repubblica Sociale.

Duro anche Francesco Paolo Sisto di FI, secondo il quale il ddl "rischia di diventare una 'polpetta avvelenata' sia per i cittadini sia per i giudici". Ma il Pd difende il testo: "L'antifascismo è la cifra di chi difende la libertà, e le opinioni non vengono represse da questo testo", dice il relatore e padre del ddl Emanuele Fiano spoegando che la democrazia devono difendersi da chi le minaccia propagandando ideologie incompatibili con i valori fondamentali della Costituzione repubblicana.

"La norma contro l'apologia del fascismo è necessaria. Per l'oggi, non per fare processi o rivisitare il passato", sostiene Walter Verini commentando il via libera al provvedimento che avviene a pochi giorni dalla minaccia di Forza Nuova di organizzare una nuova "marcia su Roma" per fine ottobre.

Proprio in questi giorni si è acceso un confronto sull'intenzione dell'organizzazione neofascista Forza Nuova di rievocare la Marcia su Roma con una manifestazione (chiamandola marcia dei patrioti) il prossimo 28 ottobre: per dire no a questa iniziativa, già vietata dalla questura, si sono già schierati fra gli altri la stessa sindaca della capitale Virginia Raggi e molti partiti e organizzazioni politiche.

«Attraverso un appello pubblicato su Facebook - scrive Fiano in un'interrogazione parlamentare -  si invitano i “camerati” di ogni parte d’Italia ad unirsi e marciare su Roma “contro la legge sullo ius soli” e gli “immigrati responsabili di stupri e violenze”.

Appare purtroppo evidente la assoluta non casualità della convocazione di questa cd. marcia in una data simbolo per il passato regime fascista, ossia quel 28 ottobre del 1922 quando 25.000 camice nere del Partito nazionale fascista sfilarono a Roma, dando luogo ad una manifestazione che segnò, simbolicamente, l’arrivo al potere di Mussolini e l’avvio della dittatura fascista in Italia;

Tale iniziativa desta particolare preoccupazione in un momento in cui le notizie a mezzo stampa riportano frequenti episodi di cronaca caratterizzati da azioni di violenza verbale o, talvolta, fisica da parte di svariate sigle riconducibili ad ambienti di estrema destra, ai danni di immigrati, sacerdoti, esponenti politici, giornalisti, lasciando così presagire il clima e i toni, e i connessi rischi per l’ordine pubblico, cui andremmo incontro nella cd. marcia dei patrioti che rischia di trasformarsi in una giornata tragica per il nostro Paese;

Al di là delle fondate gravi preoccupazioni di ordine pubblico, e al di là del carattere offensivo per la memoria di quanti hanno sacrificato la propria vita a difesa della nostra Repubblica, è assai discutibile - per i toni e per i contenuti utilizzati - la legittimità di una simile “ manifestazione “ in base alla normativa vigente, e in particolare alla luce dei divieti posti dalla legge n. 654 del 1952 (cd. Legge Scelba) e e del Decreto legge n. 122 del 1993, come convertito nella legge n. 205 del 1993 (cd. Legge Mancino)».

 

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