Mosul, infuria la battaglia dopo la distruzione della moschea

Quello che tutti temevano da settimane, è avvenuto. Ormai alle strette nella Città vecchia di Mosul, i jihadisti dell'Isis hanno distrutto un altro monumento della storia irachena, la moschea Al Nuri, da dove nel 2014 Abu Bakr al Baghdadi proclamò la rinascita del Califfato.

La moschea e il suo minareto pendente conosciuto come Al Hadba, 'il gobbo', risalenti al XII secolo, sono stati distrutti ieri sera con cariche di esplosivo piazzate da tempo, secondo il governo iracheno, le cui truppe hanno lanciato l'assalto finale il 18 giugno per strappare ai jihadisti dell'autoproclamato Stato islamico il cuore della loro ormai ex 'capitale' in Iraq.

L'Isis ha reagito affermando che a distruggere il luogo di culto sono stati i bombardamenti americani, che sostengono l'avanzata delle forze lealiste e che dall'inizio dell'offensiva hanno provocato anche molti morti tra i civili.

Il portavoce della Coalizione internazionale a guida Usa, colonnello Ryan Dillon, ha respinto l'accusa: "Non abbiamo condotto dei raid in quell'area in quel momento", ha detto l'ufficiale. Intanto nel centro di Mosul continuano feroci i combattimenti tra le forze governative che avanzano metro per metro tra le rovine e ormai solo qualche centinaio di jihadisti decisi a resistere fino alla morte. Una fonte militare ha detto che i governativi sono ancora impegnati nel tentativo di riconquistare la cosiddetta 'città medica', nel quartiere di Al Shefaa a nord della Città vecchia, dove sorgono diversi ospedali.

Mentre le forze della polizia federale hanno detto di avere ripreso il controllo di un'altra moschea, quella di Al Hamedin nel quartiere di Bab Al Baydh. Secondo l'Onu sono ancora 100.000 i civili intrappolati nell'inferno dei combattimenti e stremati dalla fame. Il primo ministro iracheno Haidar al Abadi ha detto che la distruzione della moschea di Al Nouri e del suo minareto è "una dichiarazione formale di sconfitta" da parte dell'Isis.

Dello stesso tenore le parole dell'inviato speciale dell'Onu per l'Iraq, Jan Kubis, secondo il quale quanto avvenuto ieri sera è "un segnale del senso di disperazione del gruppo terrorista e della sua imminente caduta".

Ma sulla sorte del 'Califfo', più volte dato per morto, regna ancora l'incertezza. La portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha detto "non essere in possesso di prove" sull'uccisione di Baghdadi, che il ministero della Difesa aveva dato per quasi certa in un raid aereo compiuto da Mosca il 28 maggio a sud di Raqqa, in Siria.

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