Egitto, resta in carcere il consulente dei Regeni

La procura egiziana ha deciso di estendere per altri 15 giorni il fermo del consulente della famiglia Regeni, ma si è affrettata a sottolineare che il provvedimento contro Ahmed Abdallah non ha nulla a che vedere con l’omicidio del ricercatore italiano.

Amministratore della Commissione egiziana per i diritti e le libertà, l’attivista è stato arrestato - questa la versione delle autorità giudiziarie - per aver «manifestato senza autorizzazione» contro l’accordo di limitazione delle frontiere tra Egitto e Arabia Saudita (che prevede la cessione a quest’ultima di due isole del Mar Rosso, Tiran e Sanafir).

L’ingegnere, di cui ieri era stato disposto un fermo di quattro giorni, è inoltre accusato dalla procura del Cairo di aver pubblicato notizie false, di essere «ricorso alla violenza e di aver minacciato la pace sociale, l’ordine e l’interesse pubblico».

Per Amnesty International, su Abdallah peserebbe anche un’accusa di adesione a un gruppo «terroristico e promozione del terrorismo».

È con questo «espediente giuridico» che il regime colpisce i dissidenti, in questo caso chi appartiene a un’organizzazione che denuncia proprio le continue sparizioni di oppositori del governo autoritario egiziano.

Ieri è stata proprio la famiglia Regeni a denunciare l’arresto esprimendo angoscia e preoccupazione per il recente giro di vite del regime egiziano ai danni di attivisti, giornalisti e avvocati, che in qualche modo stanno indagando attorno all’omicidio di Giulio.

Abdallah stava infatti offrendo una consulenza ai legali della famiglia nel tentativo di raccogliere elementi utili sul caso del ricercatore.

Ma la procura nega categoricamente che tra il brutale omicidio di Regeni e l’arresto del consulente della sua famiglia ci sia un legame. Il caso, sottolineano fonti giudiziarie, non ha «nulla a che fare con la famiglia dello studente italiano».

Il fermo dell’attivista continua a suscitare reazioni politiche in Italia.

Il comportamento dell’Egitto è «spudorato» per il senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione straordinaria per i diritti umani che ha lanciato, insieme con oltre 90 eurodeputati di paesi e partiti diversi, «una petizione ai giovani ricercatori italiani a non andare in Egitto».
Pubblicata sul sito www.abuondiritto.it e inviata anche all’Alto Rappresentante per la politica estera europea Federica Mogherini, Manconi spera che la proposta possa essere trasformata in uno «sconsiglio» ufficiale del governo italiano.

«L’Egitto oggi non è un paese sicuro», ha sottolineato il senatore invitando l’esecutivo a non rimaner impantanato «in un eccesso di prudenza».

Chi non si fa frenare dalla prudenza è l’Egitto che continua a tirare dritto sulla sua strada. Oggi le autorità del Cairo hanno chiesto al governo britannico, che ieri attraverso una nota del Foreign Office aveva ribadito di essere «inorridito» dall’omicidio di Regeni, di fare luce sulla morte di un giovane egiziano a Londra e di identificare gli assassini.

In una dichiarazione della presidenza egiziana si afferma che la famiglia del 21enne Sherif Habib, trovato nei giorni scorsi all’interno di un’auto che è stata data alle fiamme, ha il diritto di sapere le cause della sua morte e che sia fatta giustizia.

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