Panama Papers, partono indagini e proteste di piazza

Migliaia di islandesi sono scesi in piazza ierisera per chiedere le dimissioni del premier di centrodestra Sigmundur Gunnlaugsson, travolto dalla bufera Panama Papers, perché accusato di possedere insieme con la moglie una società offshore sulle isole Vergini mai dichiarata.

La società avrebbe avuto inoltre investimenti per milioni in obbligazioni presso tre banche islandesi, fallite durante la crisi finanziaria del 2008. Il premier è intervenuto  in Parlamento e ha detto a chiare lettere che "non intende rassegnare le dimissioni".

"Il governo ha ottenuto buoni risultati fino a oggi e deve finire il suo lavoro", ha dichiarato il politico neoliberale ai parlamentari negando di avere assets in paradisi fiscali.

L'intervento non è bastato a placare la rabbia degli islandesi che sono scesi per le strade di Reykjavik lanciando lacrimogeni e urlando slogan contro il premier. Intanto sono salite a 26.000, l'8% della popolazione, le firme di una petizione per chiederne le dimissioni e le opposizioni hanno presentato una mozione di sfiducia.

Frattanto il vento del ciclone Panama Papers, innescato dalle rivelazioni di milioni di documenti riservati finiti in mano a un pool di media internazionali, scuote i palazzi del potere da un angolo all'altro del globo: da Mosca a Londra, dalla sterminata Pechino alla piccola Reykjavik come detto.

È il giorno delle smentite e delle reazioni, ma anche di nuove accuse e sospetti nei confronti di leader, vip e faccendieri coinvolti direttamente o indirettamente - secondo le carte dello scandalo - in un giro mirabolante di miliardi di dollari dirottati sotto traccia verso le inespugnabili casseforti dei paradisi fiscali.

In alcuni Paesi - Panama, ma anche Australia e India - scattano già le prime indagini formali. In Italia, l'Agenzia delle entrate richiederà i dati relativi ai Panama Papers. Secondo quanto si apprende, l'Agenzia starebbe in queste ore elaborando le strategie e attivando i contatti internazionali per ottenere la documentazione relativa ai contribuenti italiani coinvolti, per poi attivare con rapidità le relative indagini.

"Siamo pronti a cooperare con convinzione di fronte a qualsiasi inchiesta giudiziaria", fa sapere il presidente dello Stato centroamericano, Juan Carlo Varela. In Gran Bretagna o in Norvegia le agenzie delle entrate locali chiedono invece di vedere le carte per una verifica preliminare. Lo scalpore intanto è unanime.

E la risposta del Cremlino, alle paginate della stampa anglosassone che tirano in ballo prima di chiunque altro il 'nemicò Vladimir Putin, è la più furibonda. Il portavoce del presidente russo - citato in effetti dai 'leaks' mai in prima persona, ma attraverso una cerchia di amici o presunti prestanome, dal violoncellista pietroburghese Serghei Roldughin al banchiere Yuri Kovalciuk - risponde al sospetto col sospetto.

Grida alla "montatura", evoca trame occulte per oscurare i successi di Mosca in Siria e addita come megafoni del Dipartimento di Stato, o addirittura come "agenti della Cia", alcuni reporter dell'International Consortium of Investigative Journalists: il cartello di testate di 76 Paesi che ha intercettato la mole di file 'sfuggità agli archivi del mega studio legale panamense specializzato in operazioni offshore Mossack Fonseca.

Ad alimentare i dubbi russi - e il rischio che la vicenda possa rivelarsi al di là di tutto un detonatore di tensioni geopolitiche - forse anche il fatto che non s'intravvede per ora il coinvolgimento di alcun personaggio Usa che conti. Neppure per sbaglio. Tuttavia, le carte restano carte e le ombre restano ombre.

E si addensano sui vertici politici di una sfilza di Paesi i più diversi fra loro, sullo sfondo di movimenti massicci di denaro in cui affari legali, traffici criminali e sospetti proventi di corruzione risultano aver incrociato tenebrosamente le loro strade. I nomi che rimbalzano sui media si moltiplicano di ora in ora: sono quelli di uomini di Stato, di protagonisti dello sport miliardario, di imprenditori, di bancarottieri, di stelle dello show business. Sul fronte della politica, se Putin viene preso di mira per interposta persona, vari governanti compaiono nei Panama Papers con il loro nome e cognome. 

Accuse nell'inchiesta giornalistica internazionale anche al presidente filo-occidentale ucraino Petro Poroshenko, l'uomo che avrebbe dovuto ripulire dalla corruzione Kiev stando agli slogan della rivolta di Maidan, e al primo ministro del Pakistan.

E ancora all re saudita Salman.

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Spuntano poi i nomi del neopresidente argentino, Mauricio Macri, che nega tutto sdegnato, e di quello messicano, Enrique Pena Nieto.

Qualcuno è toccato da intrecci di famiglia, come il leader cinese Xi Jinping, il re del Marocco, il presidente siriano Bashar al-Assad, quello azero Ilhan Aliev, rais caduti o defunti quali Mubarak o Gheddafi. E anche il premier britannico, David Cameron, è costretto a fare i conti con le ricchezze nascoste oltre mare dal padre finanziere Ian, scomparso nel 2010 ("una questione privata", secondo l'imbarazzato commento di Downing Street), come pure da vari notabili del Partito Conservatore. Fra le new entries delle ultime ore, fa capolino il profilo del comm  issario Ue all'Energia, lo spagnolo Miguel Arias Canete, e quello dello speaker del Parlamento del Brasile, in prima fila fra i censori della 'mani pulitè brasiliana di questi mesi.

Altrove, dalla Francia all'Italia, la bufera investe invece soprattutto il mondo degli affari.

E anche qui piovono smentite a raffica (fra le altre quella di Luca Cordero di Montezemolo).

Passando al mondo del calcio, ammette di avere una società off-shore, ma non di evadere il fisco, Lionel Messi, minacciando di querelare chiunque sostenga il contrario.

Mentre si ritrovano invischiati pure Michel Platini e altri dirigenti già toccati dallo scandalo Fifa-Blatter. Né il sospetto risparmia celebrità del cinema, col regista spagnolo Pedro Almodovar (che giura sulla sua onestà) ad affiancare nelle liste panamensi l'attore cinese Jackie Chan.

Alcune ong invocano adesso trasparenza vera sulle transazioni finanziarie, non le mezze misure e le promesse partorite finora dai vertici internazionali. Da Bruxelles, l'Ue s'impegna ad agire, mentre Angela Merkel e Wolfgang Schaeuble assicurano che il governo tedesco prende "molto sul serio" lo scandalo.

Lo stesso messaggio che arriva da Francois Hollande e altri. Ma la Suddeutsche Zeitung, capofila del consorzio di giornali che ha svelato lo scandalo, non intende mettersi al servizio delle procure. E resta da vedere come dalle parole si potrà passare ai fatti.

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