Attentati a Bruxelles, nella Ue è polemica sulla sicurezza

Il dolore per i 32 morti, le lesioni indelebili scolpite nelle menti dei circa 300 feriti (61 dei quali in rianimazione e quattro in coma). Fra le vittime si teme ci sia l’italiana Patricia Rizzo, impiegata presso un’agenzia della Commissione Ue, che al momento figura tra le persone che risultano scomparse da ieri dopo l’attentato alla metropolitana a Maalbeek.

Confermata l'identificazione dei tre kamikaze, uno dei quali ritenuto l'artificiere del kommando che operò agli attentati di Parigi il 13 novembre scorso. Due di loro una settimana fa fuggì sui tetti di casa dopo che le forze speciali franco-belghe avevano suonato al campanello per arrestarli. Tutti e tre erano pregiudicati per reati comuni ma anche noti all'interpol per adesione al'Isis e attività in Siria come combattenti stranieri. Sarebbero 400 i potenziali terroristi in Europa, secondo quanto si apprende da fonti di intelligence.

E sono le falle nella sicurezza e nell’intelligence belga ed europea, messe a nudo dagli attentati all’aeroporto e nella metro di Bruxelles, la prima preoccupazione tanto nei palazzi della Ue quanto nelle cancellerie di tutta Europa.

«Incapacità imbarazzanti», le ha definite il presidente del Copasir, Giacomo Stucchi. Per domani è stato convocato un vertice straordinario dei ministri dell’interno. All’ordine del giorno, l’applicazione delle norme europee sull’antiterrorismo.
Con la Ue che oggi punta il dito contro i governi che hanno «un gap di fiducia» e non fanno passi avanti. Tanto che il presidente della Commissione Jean Claude Juncker, in conferenza stampa col premier francese Manuel Valls, ricorda come «la cooperazione tra i nostri servizi segreti era già stata decisa nel 1999» e «ribadita nel 2001» dopo l’11 settembre. «Ma ancora non si fa, per ragioni che mi sfuggono, anche se è evidente che la nostra conoscenza degli altri paesi è imperfetta e questo vale per i paesi dell’Africa del Nord ed i loro vicini».

«Nessuno di noi deve essere geloso delle proprie informazioni», ha detto il ministro dell’Interno Angelino Alfano. D’altronde l’Italia è sempre stata favorevole allo scambio di informazioni. Le resistenze storiche sono venute da Londra e Parigi, da dove arrivano ora solo piccole aperture da Valls e Cameron.

Che invece serva una «struttura condivisa» della sicurezza nella Ue, qualcosa che assomigli ad un Fbi europeo, è tornato a ribadirlo anche oggi Matteo Renzi. «Occorre stringere sui meccanismi di intelligence tra i paesi europei e non solo, valorizzare Europol, lavorare su una struttura condivisa», ha detto il premier aprendo l’incontro con i capigruppo di maggioranza e opposizione a Palazzo Chigi. Un intervento in piena sintonia con Bruxelles, da dove il Commissario per gli affari interni, Dimitris Avramopoulos, è tornato a martellare: dopo gli attentati «noi cittadini europei siamo più forti e più uniti di prima, ma serve reagire insieme: abbiamo bisogno di più coordinamento nel settore dell’intelligence».

Sotto aperta accusa, i governi nazionali. «Se fosse stato messo in atto tutto quanto avevamo deciso già lo scorso anno, avremmo potuto essere più efficienti», ha sottolineato Avramopoulos, ricordando che tre degli attentatori di Parigi «erano noti alle polizie locali ma non è stato fatto nulla perchè non c’è stato scambio di informazioni», così hanno potuto entrare ed uscire indisturbati dalla Ue. Gli strumenti ed il quadro legale ci sono, vanno usati. «Dobbiamo dimostrare che reagiamo non solo con la retorica ma con i fatti», ha insistito il greco che denuncia il «gap di fiducia tra gli stati». Un gap che resiste anche se «il tempo dei ‘grandi statì è finito».

Dalla Ue arriva anche l’avvertimento a non mescolare la crisi dei migranti con l’allarme terroristico. Juncker, Avramopoulos e la vicepresidente Georgieva osservano che «dobbiamo capire che chi cerca di arrivare in Europa fugge dalla stessa gente che ci ha colpiti». Appello respinto immediatamente dalla premier polacca Beata Szydlo: «Dopo quanto accaduto ieri a Bruxelles non siamo d’accordo nell’accogliere alcun gruppo di migranti».

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