Unicef: intollerabili violazioni dei diritti dei bimbi profughi

Da Calais a Idiomeni, con le barriere anti-profughi e altri dispositivi «eccezionali», si è consumata una «palese violazione della Convenzione sui diritti dell’infanzia»: è la denuncia dell’Unicef Italia.

«Ciò che sta accadendo - aggiunge in una nota il portavoce Andrea Iacomini -  è intollerabile. Lo scenario cui stiamo assistendo ha le forme e le caratteristiche di qualcosa che l’Europa e il mondo ha già vissuto nella Seconda guerra mondiale, non possiamo accettarlo, non può accadere in Europa o, come ha giustamente dichiarato il ministro Gentiloni, sarà il baratro».

Le immagini di bambini migranti disperati che documentano i fatti delle ultime ore, aggiunge l’Unicef, «sono la rappresentazione finale di un fenomeno che ha le sue radici nella fuga da conflitti che la comunità internazionale non è riuscita a risolvere, che sono cresciuti in intensità e violenza nel corso degli anni, che noi come Unicef abbiamo sempre denunciato e su cui l’Europa ha dimostrato grande fragilità».

«È tardi per fare recriminazioni. I bambini non posso vivere gli incubi di queste ore. Tutti, ripeto tutti, gli Stati protagonisti della chiusura dei confini o che hanno eretto ‘muri antistoricì hanno ratificato la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza».

«Le immagini e gli episodi di questi giorni e dei mesi passati sono la prova inconfutabile di una sua grave violazione, è inaccettabile. Nessuno deve toccare questi bambini innocenti, non meritano di aggiungere ai propri traumi da fuga altre e indelebili ferite, l’Italia ponga la questione in tutte le sedi e i luoghi opportuni ed i Paesi che hanno violato il trattato - conclude - se ne assumano la responsabilità».

Intanto, però, oggi ricominciano le operazioni di sgombero della parte sud della Giungla di Calais interrotte ieri a causa degli scontri tra polizia, attivisti no-border e migranti.

Durante la notte la polizia in tenuta antisomma ha sparato gas lacrimogeni contro i migranti che lanciavano sassi contro le squadre di demolitori.

Le autorità cercano di spostare i migranti in container di spedizione situati in un’altra zona della Giungla, ma molti si rifiutano, temendo che in questo modo siano costretti a chiedere asilo in Francia ed a dover rinunciare così al loro sogno di stabilirsi nel Regno Unito.

Ieri fiamme, sassi e lacrimogeni avevano segnato il primo giorno di sgombero della tendopoli di Calais, nel nord della Francia, che è degenerato negli scontri tra attivisti no-border, migranti e circa duecento agenti di polizia incaricati di presidiare le squadre di operai giunte sul posto per smantellare le tende e le capanne di rifugiati e richiedenti asilo a cui è stato proposto di trasferirsi nei centri di accoglienza messi a disposizione dallo Stato.

Alle diciassette la situazione non era più sostenibile e, a causa delle violenze, la Police Nationale ha deciso di sospendere, almeno per oggi, le operazioni. Ma non è bastato a placare gli spiriti visto che scontri sporadici si protraevano in serata. Secondo un primo bilancio, quattro persone sono state fermate e cinque agenti sono rimasti leggermente feriti.

Intanto, la polizia federale belga ha annunciato di aver respinto verso la Francia 619 persone da quando ha ripristinato, la settimana scorsa, i controlli alla frontiera per impedire un eventuale afflusso di migranti in concomitanza con lo sgombero di Calais.

Giovedì scorso, il Tar di Lille ha dato il via libera all’evacuazione della parte sud della tendopoli più grande di Francia.

Il governo Hollande ha da subito garantito il carattere «umanitario» e «progressivo» dello sgombero.

A tutti i migranti - insistevano a Parigi - verrà proposta un’alternativa tra container riscaldati e centri d’accoglienza.

Ma le Ong ritengono che i posti letto non siano sufficienti. Secondo le associazioni, sono oltre 3.400 i disperati che devono lasciare la zona meridionale della Jungle, circa un migliaio secondo la prefettura.

Nel campo sono comunque ancora tantissimi a rifiutarsi di passare nelle strutture controllate dallo Stato e da cui tentare la traversata in Gran Bretagna diventerebbe ancora più difficile. Lo sgombero progressivo della parte sud della tendopoli è cominciato questa mattina intorno alle 8.30: due bulldozer e una ventina di operai con casacca arancione sono giunti sul posto spalleggiati da circa duecento agenti in tenuta antisommossa. Obiettivo smontare le prime tende lasciate libere e demolire le capanne.

In un primo tempo, l’atmosfera era relativamente calma ma gli incendi appiccati in una ventina di baracche hanno contribuito a risvegliare le tensioni. Secondo fonti di polizia, ad accendere il fuoco, sarebbero stati gli stessi attivisti no-border con il preciso scopo di mandare a monte l’evacuazione.

Nel cielo azzurro di Calais la densa coltre di fumo sprigionata dalle baracche in fiamme della Giungla era visibile per tutto il pomeriggio. Gli agenti in tenuta antisommossa hanno poi risposto con i lacrimogeni al lancio di pietre da parte di 150 persone tra migranti e attivisti opposti all’evacuazione. Sul posto, il prefetto, Fabienne Buccio, ha spiegato che l’imponente dispiegamento di forze è dovuto alle «aggressioni verbali e fisiche di cui sono stati oggetto nei giorni scorsi» gli operatori incaricati di convincere i migranti a lasciare il campo e a trasferirsi nei centri dello Stato.

Alcuni di loro - ha deplorato - sono stati «insultati e strattonati» da «attivisti in maggioranza britannici». Già da questa mattina gli agenti avevano formato cordoni di protezione intorno agli operai armati di trapani e martelli per radere al suolo le capanne.

«Vogliamo agire con dolcezza, non durerà solo un giorno», assicura Bruno Noel, segretario regionale del sindacato di polizia Alliance Nord-Pas-de-Calais-Picardie, aggiungendo: «Le forze dell’ordine filtrano gli accessi al campo e allontanano i no-border perchè sono loro che organizzano gli scontri».

Un sit-in di protesta contro l’evacuazione a Calais è stato improvvisato anche a Londra nei pressi di Downing Street.

E la rabbia e la frustrazione delle migliaia di migranti e profughi bloccati da giorni in condizioni disumane esplodono anche alla frontiera fra Grecia e Macedonia, con l’assalto alla recinzione metallica e di filo spinato che segna il confine più caldo della rotta balcanica.

Mentre a Calais in un clima di alta tensione la polizia francese dava il via allo sgombero, dall’altra parte dell’Europa a migliaia di km di distanza centinaia di disperati siriani, iracheni, afghani e africani bloccati nel campo di Idomeni in territorio ellenico hanno prima forzato e poi sfondato a colpi di pali e bastoni un tratto della barriera di recinzione riversandosi in territorio macedone. Scandendo «Open the border» e «We want to go to Serbia», i migranti esasperati - tra loro tantissime famiglie e donne con bambini - hanno lanciato pietre e altri oggetti contro la polizia macedone che ha risposto con gas lacrimogeni e bombe assordanti, lasciando poi tuttavia passare i migranti.

Rinforzi di agenti in assetto antisommossa sono stati inviati d’urgenza da Skopje a bordo di elicotteri. Negli scontri, protrattisi per alcune ore, una trentina di persone sono rimaste ferite, compresi numerosi bambini e un poliziotto macedone.

Il dramma alla frontiera tra Grecia e Macedonia richiama alla mente quanto avvenuto lo scorso settembre al confine fra Serbia e Ungheria.

Anche allora - ma era ancora estate, e dormire all’aperto era meno gravoso - centinaia di migranti esasperati dall’attesa davanti al muro ungherese si scontrarono con la polizia magiara forzando la barriera al punto di confine di Horgos, e anche in quel caso gli agenti ungheresi fecero largo uso di lacrimogeni e cannoni ad acqua.

A trasformare il confine greco-macedone in un gigantesco campo di attesa di migranti e profughi mediorientali è stata inizialmente la decisione dell’Austria di contingentare gli ingressi, riducendo sensibilmente il loro numero.

Una decisione che ha determinato reazioni a catena di analoga portata in tutti i Paesi della rotta balcanica - Slovenia, Croazia, Serbia, Macedonia, e il conseguente effetto imbuto in Grecia. Così ora quotidianamente vengono autorizzati in ciascun Paese non più di 580 ingressi.

E la Macedonia, Paese senza grossi mezzi sottoposto alla pressione più forte e diretta della massa di migranti che preme alle sue porte, regola il flusso ora chiudendo ora aprendo la frontiera a seconda della situazione sul terreno.

Ieri il governo di Skopje ha reso noto di aver avviato con l’ausilio dell’esercito i lavori di costruzione di una nuova recinzione al confine greco, in corrispondenza di Gevgelija, allo scopo, è stato sottolineato, di garantire un flusso regolare e più ordinato dei migranti provenienti dalla Grecia.

A Idomeni sono accampati in attesa di proseguire lungo la rotta balcanica oltre 6 mila migranti, che sarebbero circa 25 mila in tutta la Grecia. Si tratta in gran parte di siriani e iracheni, gli unici ai quali viene consentito di passare le frontiere della rotta balcanica e continuare verso Austria e Germania.

Gli afghani vengono respinti. E gli arrivi si susseguono incessanti ogni giorno. Una situazione che rischia di andare fuori controllo se non si troverà il modo di svuotare gradualmente il campo-polveriera dei disperati di Idomeni.
Intanto da Bruxelles alcune fonti non hanno escluso che la Commissione europea possa avanzare con procedure di infrazione verso quei Paesi che si rifiutano di fare i ricollocamenti, dato che si tratta di decisioni legali vincolanti.

E una procedura di infrazione non è esclusa nemmeno nei confronti dell’Austria dopo la sua decisione di stabilire tetti giornalieri per l’accoglienza ed il transito di richiedenti asilo, aspramente criticata durante l’ultimo consiglio europeo.

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