Omicidio di Giulio Regeni: si segue la pista dei servizi segreti egiziani

Continuano le indagini sulla tragica morte al Cairo di Giulio Regeni e con il passare dei giorni si accredita con sempre maggior forza tra gli inquirenti italiani l’ipotesi di un «coinvolgimento» di apparati egiziani nella vicenda.
Anche se oggi il governo egiziano smentisce questa ipotesi con un comunicato ufficiale pubblicato dal ministero dell’interno.

Gli investigatori inviati da Roma al Cairo faticano a raccogliere elementi sulla fine del ricercatore friulano: ciò potrebbe dipendere anche dalle metodologie di indagine utilizzate dagli inquirenti egiziani, molto diverse da quelle italiane.
È il caso dei filmati delle telecamere di video-sorveglianza di alcuni negozi nella zona dove Regeni è scomparso: la Procura egiziana li ha acquisiti solo nelle ultime 48 ore, e li sta «vagliando», riferiscono fonti giornalistiche e giudiziarie nella capitale egiziana.

Sabato, in una ridda ormai quotidiana di indiscrezioni e mezze verità, ha destato clamore il testimone citato dal New York Times, secondo il quale il fermo dell’italiano sarebbe stato «ripreso da quattro telecamere di sorveglianza» di altrettanti negozi del quartiere. Secondo questa ricostruzione, avvalorata da tre fonti della sicurezza egiziana sempre al Nyt, non meglio precisati «agenti» avrebbero fermato il giovane, e dopo l’identificazione e la perquisizione del suo zaino «lo hanno portato via».

Ritardi si segnalano anche nell’esame dei tabulati telefonici, che sarebbero arrivati sul tavolo degli inquirenti egiziani solo ieri. «La procura generale ha ricevuto tabulati telefonici che mostrano» come «l’ultima chiamata è stata fatta al suo amico italiano Gennaro» Gervasio «ed è durata 20 minuti», scrive l’autorevole al Ahram, il principale quotidiano del Paese. Il telefono di Regeni, come è già noto, è scomparso.

Dunque, la raccolta di prove prosegue, in attesa di un quadro più definito di quanto accaduto quella sera del 25 gennaio, quando il giovane è scomparso. Le indiscrezioni pubblicate dalla Reuters sulla perizia medico-legale acquisita dalla Procura di Giza e secretata confermano i segni, terribili e inequivocabili, delle tortura, con altri tremendi particolari: le sette costole rotte e le tracce di scosse elettriche sui genitali. Una ‘metodologià che gli attivisti egiziani, sia quelli legati ai Fratelli musulmani che alla variegata galassia dell’opposizione laica anti-governativa, denunciano da mesi, parlando di torture sistematiche nei commissariati e nelle carceri del Paese, che contano il dato ‘record’ di oltre 40.000 detenuti politici, accusati a vario titolo di sovversione e terrorismo.

Il caso Regeni continua intanto ad agitare il dibattito politico italiano: «Perché l’emozione nel Paese non è a livello delle notizie terribili che arrivano dal Cairo?», ha chiesto oggi l’ex premier Enrico Letta. «Regeni fu torturato a morte. Il regime egiziano riconosca le proprie responsabilità e aiuti la verità», ha incalzato invece il capogruppo dei deputati di Sinistra Italiana, Arturo Scotto.

E mentre la vicepresidente del Pd Debora Serracchiani ha accostato la figura del giovane ricercatore a quella di Giancarlo Siani e Giorgiana Masi, il presidente dei deputati di Forza Italia, Renato Brunetta, ha chiesto che siano salvaguardati «i rapporti Italia-Egitto» ma che il governo «faccia di più» per «trovare la verità».

Ieri un omaggio a Giulio Regeni è giunto dallo stadio Friuli di Udine. Sul maxischermo del rinnovato impianto, prima della partita Udinese-Bologna, è stata proiettata una foto del ragazzo, accompagnata dalla didascalia «Ciao Giulio!», con un applauso del pubblico presente.

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