Alle 10 Israele si è fermato per ricordare gli ebrei sterminati

Per due minuti stamattina Israele si è fermato: alle 10 in punto le sirene hanno risuonato in tutto i paese per ricordare i sei milioni di ebrei uccisi nella Shoah. Ovunque fossero, gli israeliani hanno fermato ogni attività e si sono alzati in piedi restando in silenzio. Nelle strade e nelle autostrade le auto si sono arrestate e i passeggeri sono scesi per la commemorazione che come ogni anno segna il giorno ufficiale del ricordo.

Subito dopo a Gerusalemme nel Sacrario della Memoria di Yad Vashem sono stati letti ad alta voce i nomi delle persone uccise durante la Shoah.
Cerimonia analoga è in programma alla Knesset (il parlamento) dove intervengono il presidente Reuven Rivlin, il premier Benyamin Netanyahu e il presidente dell’assise Yuli Edelstein.

Nella Giornata annuale di commemorazione in Israele dell’Olocausto, il premier Benyamin Netanyahu ha avvertito dal Museo Yad va-Shem di Gerusalemme che l’Iran si prefigge di sterminare «sei milioni di ebrei qua» e ha assicurato di considerare come proprio primo dovere «impedire una nuova Shoah del popolo ebraico».

In un discorso dai toni altamente pessimistici, con ripetuti riferimenti al «cattivo accordo» di principio sul nucleare iraniano messo a punto a Losanna dalle maggiori potenze mondiali, Netanyahu ha sostenuto che «le lezioni della seconda guerra mondiale non sono state apprese».
Di fronte al regime nazista, «il mondo libero tentò un politica conciliante, ignorando gli avvertimenti di quanti ritenevano invece che ciò avrebbe solo accresciuto il suo appetito». «È peraltro umano - ha ammesso Netanyahu - cercare di guadagnare la traquillità, ad ogni prezzo. Ma quale prezzo - ha esclamato - si dovette poi pagare allora!».
Nella situazione attuale, ha argomentato ancora il premier, le potenze mondiali «compiono gli stessi errori di allora». In particolare ha menzionato le efferatezze compiute dallo Stato islamico nel tentativo di dar vita a «uno o più Califfati», e la politica dell’Iran: «un Paese che dice apertamente - secondo Netanyahu - di voler sterminare sei milioni di ebrei». Il premier ha poi sottolineato che proprio adesso in Iran viene organizzata una gara internazionale «con la partecipazione di disegnatori da 56 Paesi» sul tema della «negazione dell’ Olocausto».
E adesso inoltre l’Iran «balza in avanti»: dall’ Iraq alla Siria, dal Libano a Gaza, dallo Yemen al Golan.

«Fino ad oggi, in Italia, il ricordo della Shoah è vissuto essenzialmente nel tempo, anche attraverso la Giornata della memoria, ma è mancato, contrariamente a quanto accade in altri Paesi, uno spazio fisico centrale e simbolico nel quale condensare e rendere vivo il ricordo. Intendiamoci : anche in Italia vi sono luoghi simbolo. Penso, tra gli altri, alle Fosse Ardeatine ed alla risiera di San Sabba. Quel che manca tuttavia è un luogo che non si erga solo a testimonianza locale ma divenga un posto nel quale la nazione intera possa confrontarsi con il proprio passato», ha detto ieri la presidente della Camera, Laura Boldrini, intervenendo al convegno «Quale memoria per quale società? I musei della Shoah nel terzo millennio», a Montecitorio.

«A Berlino e in tutta la Germania la progettazione e l’edificazione del memoriale alle vittime ebree in Europa è stato accompagnato da un dibattito pubblico stimolato anche da una risoluzione approvata dal Bundestag. È stato un dibattito sofferto e profondo, che, ad oltre 40 anni dagli accadimenti, ha indotto i tedeschi ad un esame di coscienza certo contrastato ma indubbiamente sincero.

Mi auguro che questa occasione di incontro qui a palazzo Montecitorio possa suscitare un dibattito analogo anche in Italia, ora che sono trascorsi 70 anni dall’apertura dei cancelli di Auschwitz. Non si può non soffermarsi sul passato in modo approfondito, non si volta pagina facilmente. Costruire un museo dedicato alla Shoah significa infatti - lo ha detto molto bene Jurgen Habermas - creare una connessione tra persecutori, vittime e loro discendenti. Ora che i persecutori e le vittime sono quasi tutti morti, il museo chiama in causa i loro discendenti e deve guardare certamente al passato ma per proiettarsi verso il futuro».

«Il passato è indubbiamente pesante: a fronte dei tanti giusti - ne parlerà Gabriele Nissim ed è presente Piero Angela, che ha visto il padre Carlo riconosciuto »Giusto tra le nazioni« - vi è stato non solo il ruolo decisivo del regime, basti pensare alla indelebile macchia delle leggi razziali, ma anche - e questo va detto - la complicità di una parte della popolazione.
La casa di Portico d’Ottavia 13 raccontata da Anna Foa, mette magistralmente in luce la rete di conoscenze e vicinato che avviluppava insieme ebrei e non ebrei e che poteva significare delazione oppure salvezza. Molti furono i denunciati o arrestati dai fascisti italiani; molti furono i salvati, grazie ad una solidarietà semplice e coraggiosa.

Il presente è un mondo reso sempre più piccolo dalla velocità e dalla rete, costellato però da conflitti interetnici ed interreligiosi e che vede società nazionali sempre più articolate al loro interno, per gli apporti provenienti da tante culture. Il mondo, nelle nostre società, è già insieme, nonostante questo non piaccia a molti. E noi con questo mondo che è già insieme dobbiamo rapportarci. L’unico futuro possibile vede le mille culture presenti nel mondo in costante dialogo, consapevoli del passato e quindi mature per stare insieme, per condividere, per affrontare l’oggi e il domani.

A questa consapevolezza, il museo della Shoah potrà dare il suo grande, fondamentale contributo. Mi auguro che anche grazie al museo e ad un costante sforzo di educazione alla convivenza pacifica ed al rispetto tra le culture si renda sempre meno necessaria la doverosa repressione di reati odiosi, come quelli fondati sul negazionismo. In una società ideale non ce ne sarebbe bisogno.
A questo riguardo mi fa piacere sottolineare che proprio giovedì prossimo, 16 aprile - data in cui per il calendario ebraico si ricorda la Shoah - la commissione giustizia della Camera inizierà l’esame della proposta di legge in materia di negazionismo, già approvata a larghissima maggioranza dal Senato».

«È uno strumento necessario, ma mi auguro che soprattutto con altri strumenti riusciremo ad affrontare la nostra grande, bella sfida del futuro. Mi auguro che presto non ci sia più bisogno di uno strumento come questo. Le due sessioni in cui è articolato il convegno di oggi mostrano bene le sfide cui siamo chiamati in questo terzo millennio: far convivere sempre di più spazi fisici e spazi virtuali, sfruttando al meglio le opportunità concesse dalle nuove tecnologie anche per attirare l’interesse delle nuove generazioni.

Con la precauzione che il Web sia un grande spazio di libertà, con la consapevolezza che questo spazio è invece costantemente minacciato da chi ha intenzione di spargere odio, di imporre violenza. Per questo mi permetto di ricordare a tutti voi che, proprio per mettere i diritti al centro del web, in questa legislatura abbiamo voluto istituire una commissione per Internet, che abbia come obiettivo una costituzione per Internet, una dichiarazione di principi: perché sappiamo che Internet è un grandissimo spazio di libertà, che offre vastissime opportunità. Ma è anche uno spazio dove molti quella libertà tentano di togliercela.

E allora è giusto che il Parlamento lavori su questo ambito, perché quella di Internet è anche una grande opportunità. Di democrazia, e dunque il legislatore non può disinteressarsene, sarebbe irresponsabile da parte nostra. Coltivare memoria e storia, perchè soltanto così possiamo educare le nuove generazioni alla democrazia. Sì, perchè noi dobbiamo ricordare ai nostri giovani chi siamo, da dove veniamo, di cosa ci siamo liberati; e che la democrazia non è un dono dato per sempre, ma va difesa ogni giorno, perché le minacce sono sempre presenti. Mi fa piacere vedere che oggi si affronterà questo tema e si valorizzeranno le differenze, perchè è solo in un’arena condivisa di diritti per tutti che noi possiamo portare progresso alle nostre società.

Specialmente in un tempo come questo in cui c’è la grande minaccia del terrorismo, che non guarda in faccia nessuno, che si scaglia contro le persone di varie religioni, musulmana, ebraica, cristiana. Una minaccia che mira a creare il caos, ad imporre la legge della forza, contro la quale noi dobbiamo essere uniti, compatti. Ma dobbiamo vincere questa battaglia rispettando sempre la nostra Costituzione, rimanendo nell’ambito delle nostre garanzie e tutele costituzionali, perchè se noi usciremo da quel recinto avremo sicuramente perso la nostra battaglia. Il museo - ha concluso la presidente della Camera - dovrà essere quindi un luogo in grado di instillare la voglia di imparare dal passato.
Questo sarebbe un grande risultato per proiettarsi in un futuro nel quale l’identità di ciascuno potrà convivere e rafforzarsi nel rapporto costruttivo con gli altri diversi da noi».

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