Mortalità infantile, allarme di Save the Children

Gli sforzi per porre fine alla mortalità infantile dovuta a cause prevenibili, hanno fatto sì che milioni di vite venissero salvate dall’inizio del nuovo secolo. Un progresso che però maschera grandi disuguaglianze: i gruppi di bambini più svantaggiati socialmente, economicamente e per etnia, sono stati lasciati indietro rispetto ai loro coetanei benestanti in più di tre quarti dei paesi in via di sviluppo. Fra questi bambini e in queste aree del mondo si registra un incremento della mortalità infantile e differenze crescenti nelle condizioni di vita e salute rispetto ai coetanei con un migliore status socio-economico. E’ quanto emerge dal nuovo rapporto Lottery of Birth di Save the Children - l’Organizzazione dedicata dal 1919 a salvare la vita dei bambini e difendere i loro diritti - basato sull’analisi di dati disaggregati relativi a 87 paesi a basso e medio reddito, relativamente a 4 gruppi di popolazione differenti: minori che vivono in aree rurali o cittadine, in sub regioni, appartenenti a minoranze etniche o a gruppi svantaggiati sotto il profilo socio-economico.

In particolare nel 78% dei paesi analizzati nel rapporto, almeno uno dei 4 gruppi svantaggiati ha visto ridurre molto più lentamente la mortalità infantile rispetto alla fascia di popolazione più benestante, mentre nel 16% delle nazioni prese in esame le disparità nei tassi di sopravvivenza infantile sono aumentati in tutti e 4 i gruppi.

Una disuguaglianza evidente in Niger: un bambino nato nella regione con il tasso di mortalità più alto nel 2012, aveva una probabilità quasi 5 volte maggiore di morire prima del suo quinto compleanno rispetto ai bambini della regione con il tasso più basso. Nel 1998 questo rischio era la metà. In Indonesia nel 2012 un bambino nato nel 40% delle famiglie più povere aveva una probabilità quasi 2,5 volte maggiore di morire di un bambino appartenente al 10% di popolazione più ricco. Questa disuguaglianza si è raddoppiata dal 2002.

In Honduras, nel 2012 un bambino nato nella regione Islas de Bahia aveva una probabilità 3,5 volte maggiore di morire di un bambino nato in una delle regioni più sviluppate del paese. Questa disuguaglianza è aumentata considerevolmente dal 2006.

 In Ruanda la mortalità infantile è scesa fra il 2.000 e il 2.013 da 182 a 52 morti ogni 1.000 nati vivi; il paese ha inoltre conosciuto una significativa riduzione delle disuguaglianze nella salute, sia dal punto di vista dei tassi i di mortalità infantile che della copertura dei servizi sanitari: il 98% dei bambini di 1 anno nel 2.010 era stato vaccinato contro difterite-tetano-pertosse, una percentuale più alta che in Gran Bretagna. Nel 2.000, le donne appartenenti ai gruppi sociali più ricchi avevano 3 possibilità in più rispetto a quelle più povere di partorire alla presenza di personale specializzato. Nel 2.010, questo gap era passato a 1,4 volte, con il 64% di partorienti assistite al momento del parto contro il 22% nel 2.000. In Malawi, nel 2.000, i bambini nelle aree rurali avevano 1 volta e mezzo di possibilità in più di morire rispetto a quelli di città. Queste disparità nel 2010 erano state appianate.

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