Fra Letta e Renzi è scontro finale

Il sentiero di Enrico Letta si fa stretto. La «staffetta» al governo Letta-Renzi, dopo la cena di lunedì al Quirinale del segretario Pd, è un'ipotesi che va rafforzandosi ed il  redde rationem si sposta nella direzione Pd cruciale anticipata a giovedì dal segretario. Sono in tanti ora a chiedere, nel Pd e in Scelta Civica, che il premier lasci e si apra una nuova fase con Renzi a Palazzo Chigi. Ma Letta non molla e rilancia, sale a sua volta al Colle a dire a Giorgio Napolitano che lui non si dimette e punta ad andare avanti con la fiducia del Parlamento

letta renziIl sentiero di Enrico Letta si fa stretto. La «staffetta» al governo Letta-Renzi, dopo la cena di lunedì al Quirinale del segretario Pd, è un'ipotesi che va rafforzandosi ed il  redde rationem  si sposta nella direzione Pd cruciale anticipata a giovedì dal segretario. Sono in tanti ora a chiedere, nel Pd e in Scelta Civica, che il premier lasci e si apra una nuova fase con Renzi a Palazzo Chigi. Ma Letta non molla e rilancia, sale a sua volta al Colle a dire a Giorgio Napolitano che lui non si dimette e punta ad andare avanti con la fiducia del Parlamento su una nuova squadra e un nuovo programma, del quale annuncia a breve la presentazione. Troppo tardi, si mormora in buona parte del Pd.
La giornata si apre con i  rumors  che vogliono il Capo dello Stato deciso a favorire la stabilità e la continuità di governo per le riforme, chiunque la garantisca. Per questo Napolitano prende atto (in quello descritto dal Quirinale come un «rapido incontro») della volontà di Letta di rilanciare il suo governo, ma registra anche la richiesta del Pd, partito di maggioranza relativa, di un cambio di passo. Non è solo Renzi ora a chiederlo, ma diversi esponenti. «La batteria del governo è scarica, dobbiamo decidere se va ricaricata o cambiata - fa cadere ogni velo Renzi di fronte all'assemblea dei deputati Pd -. Se avessimo uno smartphone è come se avessimo consumato il 19% della batteria. Ora dobbiamo decidere se ricaricarla oppure cambiarla».
Musica per i piccoli partiti, che nelle parole del sindaco di Firenze vedono la promessa di un governo solido e di legislatura, che possa durare fino al 2018. Per questo Renzi si tira dalla sua parte Scelta Civica. «Letta è di grande esperienza - dice Andrea Romano, capogruppo alla Camera - Sono sicuro che lui per primo comprenda l'esigenza di voltare pagina arrivando rapidamente ad un nuovo governo guidato da un'altra personalità». Angelino Alfano lascia che i panni sporchi siano lavati in famiglia, che il Pd si decisa e ponga fine all'incertezza.
Letta avverte la durezza della partita, si mette l'elmetto e rilancia, certo di avere in tasca «un progetto che convincerà tutti gli alleati, anche il Pd». La carta vincente, per il premier, è quell' «Impegno Italia» (prima era «Impegno 2014»), per dare robustezza ad un governo non a termine e convincere i piccoli a sostenerlo in un orizzonte di legislatura.
Ma come una doccia fredda arrivano le parole di Enrico Carbone, fedelissimo di Renzi, che invita Letta a prendere atto della realtà e parla di «una dinamica inesorabile» che, nella direzione di giovedì, potrebbe addirittura portare ad una sfiducia del premier da parte del suo partito. Un'ipotesi nefasta rispetto alla quale si mettono all'opera i renziani, cercando di convincere il premier alle dimissioni.
Letta però non demorde. Va al Quirinale a spiegare i suoi prossimi passi e ne esce - dicono fonti di Palazzo Chigi - «confortato e ancor più determinato ad accelerare il rilancio programmatico del governo».

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