Governo, voto segreto sul conflitto d'interessi

Ci sono due insidie per la legislatura. La prima è rappresentata dal voto segreto sul conflitto d'interessi, formula esplosiva che insidia la nuova legge elettorale. L'altra è il tira e molla continuo esercitato da Matteo Renzi su Enrico Letta: una corda che rischia di rompersi, mandando tutto all'aria, con un ritorno al voto anticipato e forse prematuro anche rispetto alle riforme in campo. Ma la prima mina che la prossima settimana nell'Aula della Camera rischia di far saltare insieme l'Italicum e forse, chissà, anche la legislatura si chiama conflitto d'interessi

Ci sono due insidie per la legislatura. La prima è rappresentata dal voto segreto sul conflitto d'interessi, formula esplosiva che insidia la nuova legge elettorale. L'altra è il tira e molla continuo esercitato da Matteo Renzi su Enrico Letta: una corda che rischia di rompersi, mandando tutto all'aria, con un ritorno al voto anticipato e forse prematuro anche rispetto alle riforme in campo.
Ma la prima mina che la prossima settimana nell'Aula della Camera rischia di far saltare insieme l'Italicum e forse, chissà, anche la legislatura si chiama conflitto d'interessi. Cinque emendamenti su incandidabilità e incompatibilità con la carica di parlamentare presentati alla Camera da tre partiti di governo (Centro Democratico, Popolari per l'Italia e Psi) e due d'opposizione (Sel e M5S). Su ognuna delle proposte di modifica potrebbe essere chiesto il voto segreto. E il Pd, toccato in un nervo scoperto, rischia di trovarsi in difficoltà. «Come facciamo a votare no?», ragiona un deputato della minoranza democratica.
I 5 emendamenti, con formulazioni diverse, prevedono l'incandidabilità o l'incompatibilità con la carica di parlamentare per chi (anche in via indiretta) detenga quote di controllo o rilevanti in società concessionarie dello Stato. Si applicherebbero, viene spiegato, a Silvio Berlusconi (ma anche a tanti altri) anche per le quote detenute dai figli.
«Non se n'è mai fatto nulla: è la grande questione irrisolta, ma è parte essenziale della legge elettorale», sottolinea Pino Pisicchio (Cd). Un bell'ostacolo per l'accordo Renzi-Berlusconi: anche se alla fine si riuscisse, come spera il Pd, a convincere i piccoli partiti a ritirare i loro emendamenti, ci sarebbero sempre quelli di M5S, che non vi rinuncerà.
È perciò già tesa l'atmosfera a Montecitorio. Martedì in Aula si inizierà a votare. Complice il possibile scrutinio segreto, le mine su cui potrebbe saltare l'Italicum sono però anche altre: gli emendamenti sulle preferenze, la norma «salva Lega» (che alla fine potrebbe essere cassata), quella  «salva Sel». E ha molti sostenitori anche l'emendamento del democratico Lauricella per condizionare l'entrata in vigore della legge elettorale alla riforma costituzionale del Senato ed esorcizzare così il rischio del voto subito.
Voto che esclude comunque Matteo Renzi, dopo aver aggiornato la direzione Pd al 20 per un chiarimento definitivo su una eventuale «staffetta» al governo con Letta. «A me conviene votare, ma all'Italia no» tranquillizza il segretario democratico. E i renziani si sforzano di mostrare lealtà: «Il Pd non può permettersi di sfiduciare Letta in Parlamento, l'ipotesi non esiste» assicura Stefano Bonaccini, membro della segreteria. E ancora, «Renzi andrà a Palazzo Chigi solo per via elettorale», promette anche Francesco Nicodemo, responsabile comunicazione.
Ma Scelta civica non intende aspettare il 20 febbraio e chiede al premier di non perdere altro tempo. «Martedì convochi i segretari dei partiti per discutere del Patto di coalizione. Il 20 febbraio è tra due settimane e ne abbiamo già consumate almeno dieci. Sono troppe», fa notare la segretaria Stefania Giannini.
E continua il suo pressing anche Angelino Alfano. «Noi siamo pronti a continuare a sostenere Letta: pensiamo però che sia indispensabile che ci creda davvero anche il Pd».

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