Si apre il Conclave, ma il quorum è lontano

I nomi da cui partire ci sono, da un lato con l'italiano Angelo Scola, dall'altro col brasiliano Odilo Pedro Scherer, ma non c'è ancora la sensazione di candidature risolutive. C'è divisione tra i cardinali che entrano oggi in Sistina: non solo sui nomi cui dare il voto, tanto che i «pacchetti» di consensi sono ben lontani dalla necessaria quota 77, ma anche - e questo ne è il presupposto - sulle priorità del futuro governo della Chiesa, e persino su quanto potrà durare il Conclave. Sta di fatto che questa sera, all'atto della prima votazione, «che difficilmente ha esito positivo», ha sottolineato ieri lo stesso padre Federico Lombardi, «c'è da aspettarsi la fumata nera»

I nomi da cui partire ci sono, da un lato con l'italiano Angelo Scola, dall'altro col brasiliano Odilo Pedro Scherer, ma non c'è ancora la sensazione di candidature risolutive. C'è divisione tra i cardinali che entrano oggi in Sistina: non solo sui nomi cui dare il voto, tanto che i «pacchetti» di consensi sono ben lontani dalla necessaria quota 77, ma anche - e questo ne è il presupposto - sulle priorità del futuro governo della Chiesa, e persino su quanto potrà durare il Conclave. Sta di fatto che questa sera, all'atto della prima votazione, «che difficilmente ha esito positivo», ha sottolineato ieri lo stesso padre Federico Lombardi, «c'è da aspettarsi la fumata nera».
Tra i 115 che devono eleggere il successore di Benedetto XVI si registrano visioni diverse anche sui tempi del Conclave. Da una parte c'è il fronte dei «curiali» e degli italiani che ha fretta di chiudere. Dall'altra quello di molti stranieri che ritengono ci sia bisogno di più tempo, di saggiare meglio le varie possibilità.
«Siamo pronti per entrare in Conclave e sarà più lungo dell'ultimo», ha significativamente detto ieri, uscendo dalla decima e ultima congregazione generale, il cardinale sudafricano Wilfrid Fox Napier, alla sua seconda esperienza. «No, no, faremo presto, faremo in fretta», ripete invece un porporato italiano di Curia nelle sue conversazioni private. Segno evidente, questo, di una spaccatura tra le porpore europee, che si mostrano ottimiste su una rapida conclusione, e quelle del Sud del mondo, per le quali bisogna ancora lavorare alla ricerca di una soluzione.
Per Napier, ad esempio, il Conclave sarà l'occasione «per esplorare in modo più approfondito le possibilità», dal momento che «abbiamo un'ampia scelta tra candidati piuttosto giovani e abbiamo più tempo per discuterne».
Quella che al momento appare più forte è la candidatura del cardinale di Milano Angelo Scola, ma la «dote» di voti che porterebbe con sè, una quarantina, è ben al di sotto del quorum dei due terzi, pari a 77. Scola, pur rispettatissimo, non entusiasma tutti. Gli stessi italiani al momento non sembrano convergere sul suo nome. Parte più come il nome di un fronte di stranieri per i quali la priorità è rappresentata dai problemi della Curia romana e dalla necessità di un cambiamento.
Le chance per un Papa italiano, però, non appaiono fortissime. Troppo hanno pesato gli scandali, i «veleni», per quanto uno come Scola ne sia rimasto sempre immune. Sul cardinale di Milano per ora confluisce il pacchetto più consistente, ma per chi lo promuove si tratta di saggiare il terreno nelle prime votazioni. Lo stesso vale per quello che segue a poca distanza, Scherer, il cardinale di San Paolo del Brasile, espressione di un episcopato che rivendica un ruolo centrale nella Chiesa. È chiaro comunque che se il Conclave si protrarrà per più di due giorni (oggi dovrebbe esserci uno scrutinio, mercoledì già altri quattro), vorrà dire che nè la candidatura di Scola nè quella di Scherer avranno «sfondato». Si riapriranno allora i giochi, con la possibilità che si apra la strada a nomi come quelli del franco-canadese Marc Ouellet, dell'ungherese Peter Erdo, o anche di outsider come l'italiano Giuseppe Betori, mentre c'è anche chi vede in questi giorni risalire le quotazioni degli americani, in primis Timothy Dolan e Sean O'Malley.
Al di là del toto-Papa, che lo riguarda direttamente, il canadese Ouellet mostra pubblicamente di affidarsi a volontà più alte. «Dio ha già deciso», ha detto in questi giorni.
Guarda caso la stessa frase che, nel 1978, disse il patriarca Albino Luciani, che poi divenne Giovanni Paolo I, prima di lasciare Venezia per recarsi a Roma per il Conclave.
Si scopre intanto che i cardinali riuniti nelle congregazioni generali pre-Conclave volevano sapere di più sullo Ior. E ieri, nell'ultima sessione alla vigilia dell'ingresso in Sistina, il cardinale Tarcisio Bertone, in veste di presidente della Commissione cardinalizia di Vigilanza, ha preso la parola nell'Aula Nuova del Sinodo per riferire ai porporati giunti da tutto il mondo in merito alla situazione dell'Istituto per le Opere di religione.
Si è trattato, ha spiegato ai giornalisti il portavoce vaticano padre Federico Lombardi, di una «breve relazione» a «completamento degli interventi sulla situazione economica della Santa Sede, fatti nei giorni scorsi dai capi dicastero competenti, il card. Giuseppe Versaldi per la Prefettura degli Affari economici, il card. Domenica Calcagno per l'Apsa e il card. Giuseppe Bertello per il Governatorato. In forma «concisa», Bertone ha parlato tra l'altro della «natura dello Ior» e del «procedimento di inserimento nel sistema internazionale dei controlli Moneyval» contro il riciclaggio, ha spiegato ancora Lombardi.
Chiaro, quindi, il desiderio delle porpore di vederci più chiaro sulle vicende della «banca vaticana», peraltro reduce dal riassetto nel sistema di governance, con la recente nomina del nuovo presidente Ernst von Freyberg, tedesco, alla presidenza del board, dopo nove mesi di «sede vacante» in seguito alla brutale defenestrazione di Ettore Gotti Tedeschi.
Sullo sfondo, anche il coinvolgimento della banca nell'inchiesta della procura di Roma su episodi di violazione delle norme anti-riciclaggio, che vede indagati lo stesso Gotti Tedeschi e il direttore Paolo Cipriani, come pure le voci - smentite dal Vaticano - su conti dello Ior riconducibili a dirigenti del Montepaschi finiti nella bufera per l'acquisto di Antonveneta.
«La situazione dello Ior non è il punto principale per avere criteri per l'elezione del Papa», ha comunque risposto padre Lombardi a una domanda dei giornalisti sul perchè dell'Istituto per le Opere di religione si sia riferito ai cardinali solo nell'ultima delle congregazioni generali e i forma così «sintetica». «I criteri riguardanti i grandi problemi in cui si trova la Chiesa sono stati trovati più urgenti nei giorni scorsi - ha sottolineato il portavoce vaticano -. Tuttavia, essendoci il Collegio riunito, si sono percepite anche esigenze di informazione sullo Ior».
«È uno dei temi su cui si parla - ha proseguito -. I membri del Collegio hanno chiesto informazioni in forma sommaria, non sono relazioni dettagliate, non è questo il luogo».
E in un'intervista a La7 il Cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, uno degli undici elettori africani, ha detto: «lo Ior non è essenziale al ministero del santo padre come successore di Pietro. Non so se san Pietro aveva una banca».

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