Bellunesi al voto ("trentino") per l'autonomia provinciale

Ieri, a due giorni dai referendum "secessionisti", nel Bellunese ha fatto tappa, in tre incontri distinti (nel capoluogo, a Feltre e ad Agordo), anche Lorenzo Dellai, che aveva pure voluto fra i candidati della lista Monti (in Veneto) l'autonomista della vicina provincia dolomitica Silvano Martini, esponente del movimento Bard. Martini accompagnava l'ex governatore trentino che ha illustrato le sue visioni sull'autogoverno necessario delle terre di montagna e ha rinnovato il suo appoggio alla lotta dei bellunesi per ottenere una forma di autonomia per assicurare a quest'area alpina politiche specifiche

di Zenone Sovilla

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Venerdì, a due giorni dai referendum "secessionisti", nel Bellunese ha fatto tappa, in tre incontri distinti (nel capoluogo, a Feltre e ad Agordo), anche Lorenzo Dellai, che aveva pure voluto fra i candidati della lista Monti (in Veneto) l'autonomista della vicina provincia dolomitica Silvano Martini, esponente del movimento Bard. Martini accompagnava l'ex governatore trentino che ha illustrato le sue visioni sull'autogoverno necessario delle terre di montagna e ha rinnovato il suo appoggio alla lotta dei bellunesi per ottenere una forma di autonomia per assicurare a quest'area alpina politiche specifiche.

Si tratta, in altre parole, di evitare l'omologazione amministrativa imposta da Venezia e modellata sui bisogni della pianura ("non chiediamo più denaro pubblico ma la possibilità di decidere come spenderlo", spiegano i movimenti bellunesi).
Uno strumento di questa lotta sono dunque i referendum costituzionali che si celebrano domenica e lunedì a Feltre, seconda città della Provincia, Cesiomaggiore, Arsié (paese che si trova sopra Primolano) e in vari comuni dell'Agordino, l'area bellunese che fin qui ha sviluppato le principali forme di cooperazione con il Trentino (dalla Cassa rurale al turismo): Falcade, Canale, Rocca Pietore e Gosaldo. A rendere più complicato l'obiettivo formale delle consultazioni è il quorum: dovrà votare sì la maggioranza degli aventi diritto, non solo di chi andrà alle urne: arduo, perché una quota consistente di cittadini iscritti alle liste elettorali è composta da emigrati all'estero.
D'altra parte, come mostrano i precedenti, a cominciare dal voto "trentino" di Lamon nel 2005, in Parlamento finora i referendum sono finiti in un binario morto (altrimenti si scatenerebbe un effetto a catena di corsa verso le regioni speciali); ma quei voti, oltre a catalizzare entusiasmi locali, hanno ottenuto un significativo riverbero politico, ponendo al centro dell'attenzione pubblica il problema delle zone montane a statuto ordinario (sulle Alpi e non solo).
Dunque, se l'obiettivo formale dei promotori è il trasferimento dalla Regione Veneto al Trentino Alto Adige, quello sostanziale è rafforzare con questa campagna la dura battaglia in corso per ottenere uno status istituzionale aderente alle esigenze di un territorio travolto dalla crisi, con un turismo da migliorare e un manufatturiero in grave difficoltà di fronte all'evoluzione del mercato globale. Si tratta fra l'altro di una provincia di cui la vasta mobilitazione sociale ha appena salvato l'ente, inizialmente destinato a scomparire dal governo Monti, che poi ha fatto retromarcia e adesso mostra una diversa sensibilità sui problemi tipici della montagna.

Il "sogno" per molti referendari resta che un giorno Belluno, con i suoi 215 mila abitanti sparsi in oltre 3.600 kmq (per lo più coperti di rocce) diventi con Trento e Bolzano la terza provincia di una Regione autonoma delle Dolomiti che ritengono rafforzerebbe anche le garanzie future per le attuali province a statuto speciale. Ma nel frattempo, si fanno anche pressioni su Venezia affinché applichi finalmente, varandone le leggi attuative, il nuovo Statuto regionale, che da un anno riconosce la specificità montana del Bellunese e prevede una forma peculiare di autonomia con competenze su svariate materie, dal turismo all'energia, dalle minoranze linguistiche alla cooperazione transfrontaliera. Su questo dato insiste un altro schieramento bellunese, che ha preso le distanze dallo strumento referendario e considera una priorità, piuttosto, insistere sullo spiraglio aperto dal Veneto dopo anni di lotta politica.

Lo stesso sindaco di Feltre, il giovane Paolo Perenzin (Sinistra ecologia e libertà), non ha nascosto il suo scetticismo annunciando che voterà no al cambio di Regione: da un lato ha osservato che ormai (a sette anni dal primo voto, quello di Lamon, confine col Tesino) il referendum è uno strumento abusato che si è rivelato illusorio; dall'altro ha spiegato di temere che passi l'idea del "si salvi chi può" al costo della disgregazione della provincia di Belluno, la quale, invece, devo preseguire nel cammino unitario di questi mesi e pretendere che Venezia rispetti gli impegni, cioè lo Statuto. Semmai, ragiona il sindaco, in quest'ottica altre aree montane venete (come Asiago) potrebbero inserirsi nella futura provincia alpina bellunese dotata di autonomia. Insomma, l'obiettivo sarebbe raggiungibile "senza modificare i confini attuali", idem per la cooperazione nella regione dolomitica che può crescere a prescindere, se vi è un riequilibrio del profilo istituzionale.
Sul fronte referendario, peraltro, sono in attesa, dopo aver raccolto le firme, anche altri comuni bellunesi. Verso Trento guardano, gli agordini Taibon, Voltago e Rivamonte. Al confine con l'Austria si preannuncia il voto "sudtirolese" di Comelico Superiore, mentre in Cadore si preparano Pieve e Lozzo che guardano al Friuli come ha già fatto (votando sì al trasferimento) il paese germanofono di Sappada-Plodn. Per passare a Bolzano si sono già espressi Cortina, Livinallongo del Col di Lana (versante veneto dei passi Pordoi e Campolongo) e Colle Santa Lucia, richiamandosi con nostalgia storica all'antica appartenenza all'impero asburgico (finita anche là con la Prima guerra mondiale) ma anche all'idioma ladino (che peraltro viene parlato dagli autoctoni pure in diverse altre vallate bellunesi).

Un profilo simile, che formalmente guarda alla storia, ha anche l'iniziativa pre-elettorale "Ritorno in Trentino di Pedemonte, Magasa e Valvestino" che lancia una raccolta di firme online per chiedere ai candidati trentini di impegnarsi a promuovere in Parlamento l'iter del referendum celebrato cinque anni fa nei due comuni ex asburgici bresciani e in quello vicentino.

Finora, però, come detto, il legislatore ha ritenuto, esercitando la sua sovranità, di non tener conto degli indirizzi emersi in decine di referendum (ci sono anche i comuni dell'altopiano di Asiago) per il trasferimento di territori in Trentino Alto Adige.

Una consultazione generale dei cittadini era stata richiesta un paio d'anni fa anche dallo stesso consiglio provinciale di Belluno (a furor di popolo, dopo una vasta raccolta di firme sull'addio in blocco al Veneto), ma fu negata dalla Cassazione con richiami costituzionali all'assetto "binario" della Regione a statuto speciale di destinazione (diverso è il discorso, scrivono i giudici nelle motivazioni della sentenza, del trasferimento di comuni, anche se alla fine si potrebbe raggiungere il medesimo risultato).

In ogni caso, appare sempre più chiaro, non per elucubrazioni in salsa nostalgica ma per oggettive ragioni pragmatiche legate alla qualità della vita in montagna, che queste richieste di autogoverno si riverbereranno con forza nella prossima legislatura imponendo probabilmente all'ordine del giorno una riforma istituzionale che assicuri forme precise di autonomia alle aree montane oggi sprovviste, la cui fragilità istuzionale, fra l'altro, aggrava le conseguenze locali della crisi economica, compreso il progressivo spopolamento delle terre alte.

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