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Vuoi fare l'influencer? Allora mettiti a studiare: i consigli degli esperti al convegno dell’Università di Trento

Non solo “content creators”: gli influencers devono sapere come fare la dichiarazione dei redditi, quali strumenti esistono per la loro tutela giuridica, come funzionano le royalties. Ma soprattutto devono sapersi esprimere con competenza

TRENTO. Un giovane su cinque, oggi, dichiara che da grande vuole fare l’influencer. Il successo di alcuni giovani sui canali social, infatti, spinge molti ragazzi (ma già da bambini) a pensare che basti un telefonino e un canale social per fare i soldi e costruirsi una carriera milionaria. Ma non è così facile.

Ne parla, nell’ultimo numero, la rivista dell’Università di Trento UniTNmagazine, in un articolo della studentessa Arianna Laneve, collaboratrice Ufficio Stampa e Relazioni esterne. La quale riporta alcuni utili consigli emersi al convegno sul tema della facoltà di Giurisprudenza.
Si chiama “influencer economy”. È «tutto il mondo economico che gira intorno agli influencers, alle piattaforme digitali e alle web companies». La definizione la fornisce Alessandra Magliaro, docente di diritto tributario UniTrento. «Dal punto di vista fiscale – spiega Magliaro - è quel mondo al quale vengono imputate tutte le produzioni di reddito e ricchezza derivanti dal lavoro di questi professionisti. Al suo interno si individuano le diverse categorie giuridiche e tributarie corrispondenti alle varie attività». Dietro ai video, ai reel, alle stories, si nasconde quindi una realtà più pratica, fatta di contratti, impegni, tutele sindacali. Si parla di regolazione dell’attività economica per l’utilizzo di strumenti e di rapporti con fornitori, collaboratori e clienti. Di dichiarazione dei redditi e di tasse, al pari di tutti gli altri lavori meno “social”.

«Occorre individuare quale tipo di reddito dichiarano i content creators, e, a seconda del tipo di rapporto di lavoro, individuare la localizzazione di questi redditi per poi fare le dovute considerazioni, soprattutto in caso di soggetti fiscalmente non residenti in Italia». Identificare queste figure professionali dal punto di vista giuridico è importante per individuare responsabilità, diritti e obblighi nei rapporti che intercorrono tra influencer, content creator e committente.

Secondo Riccardo Salomone, professore di Diritto del Lavoro all'ateneo trentino e il collega Marco Peruzzi, quest'ultimo invece docente all’Università di Verona, intervenuti entrambi al seminario, bisogna tenere presenti le diverse tipologie di contratto oggi disponibili: il contratto “d’opera intellettuale”, la collaborazione coordinata o continuativa, il contratto di lavoro subordinato, l’etero-organizzazione (prestazioni personali e con modalità esecutive organizzate dal committente).
«Due concetti chiave da tenere a mente nell’ambito della qualifica sono la continuità del rapporto e il grado di ingerenza della piattaforma o del titolare del marchio nello svolgimento dell’attività lavorativa», sottolinea Chiara Cristofolini, ricercatrice di Giurisprudenza a Trento.
«Questi aspetti consentono di delineare in maniera più chiara i vari profili giuridici per questa nuova categoria di professionisti», aggiunge. Dunque non ci si improvvisa influencer. Non basta la passione per l’online. Ciò che emerge dai dibattiti, dagli interventi e dalle analisi degli esperti giuridici è che c’è ancora da fare. Servono approfondimenti sui bisogni formativi e su come creare le competenze, data la complessità, l’eterogeneità e la continua evoluzione del web. «Vanno definiti gli asset necessari a intercettare le necessità delle imprese. C’è poi una questione che riguarda il linguaggio. Nella contrattazione si utilizzano parole e termini diversi che bisognerebbe uniformare, per condividere un sistema comune», osserva ancora Cristofolini. Restando in tema di aggiornamento, il mercato del lavoro sta mettendo a punto una serie di strumenti per i futuri professionisti del web. «Si intende intercettare i bisogni formativi del territorio, superare la complessità nel perimetrare la figura professionale e soprattutto individuare degli schemi di valutazione delle competenze che non comportino una classificazione troppo stringente per professioni così complesse». A dirlo Stefania Terlizzi, dirigente generale dell’Agenzia del lavoro di Trento.
Si tratta di attività che necessitano, alla stregua delle altre più classiche, anche di forme di tutela che proteggano i professionisti e le professioniste, esposte a rischi, anche economici, spesso indipendenti da loro. «In un contesto come quello attuale di precarietà, il compito dei giuslavoristi è quello di individuare dei percorsi di tutela evitando la “marginalizzazione” di questi lavoratori e queste lavoratrici», così Laura Torsello, docente di diritto del lavoro all’Università Politecnica delle Marche.

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