Ragazza stuprata dall'autista, la app Uber al bando a New Delhi

Uber al bando a New Delhi perché non garantisce la sicurezza dei clienti. L’autista accusato di aver stuprato nella notte fra venerdì e sabato nella capitale indiana una giovane donna di 27 anni è da oggi in carcere a disposizione della polizia, mentre le autorità hanno intimato alla compagnia internazionale di San Francisco per cui lavorava con il sistema di prenotazioni via ‘app’ di sospendere il servizio a New Delhi.
L’ennesimo grave episodio di violenza su un donna ha suscitato sgomento e commozione in India e all’estero, risvegliando nella memoria di molti il ricordo del mortale stupro di gruppo su un autobus di una studentessa nel dicembre 2012.

I media online e tv hanno martellato di notizie l’opinione pubblica, mostrando alla fine anche il volto baffuto di Shiv Kumar Yadav, 32 anni, il presunto stupratore della donna mentre veniva portato in tribunale sotto scorta. Sposato e padre di tre figli, per due giorni era sfuggito alla cattura ma è stato poi localizzato vicino a Mathura, a sud di New Delhi.
Gli agenti lo hanno messo a disposizione del ‘Metropolitan Magistratè Ambika Singh, che oggi ha disposto la sua carcerazione fino a giovedì per permettere alla polizia di interrogarlo e preparare la denuncia formale. Si è appreso che Yadav nel corso della giornata si è rifiutato di sottoporsi ad un confronto con la sua vittima, rimasta anonima.

I primi elementi provenienti dalle indagini svolte dagli inquirenti, ma anche dai media, hanno fatto emergere alcuni particolari clamorosi. Nel 2011 il tassista aveva trascorso ben sette mesi in carcere con l’accusa di violenza carnale compiuta a Mehrauli, a sud di Delhi. Era stato poi a quanto sembra prosciolto, ma la Uber era in possesso di un certificato firmato da un responsabile della polizia secondo cui la sua fedina penale era immacolata. Il commissario B.S. Bassi, che coordina le indagini di questo caso, ha affermato però che il documento «è contraffatto» e che quindi Yadav sarà anche accusato di falsificazione.
In attesa delle decisioni del giudice e del processo, che potrebbe avvenire col metodo «fast track» come avvenuto nel caso della giovane uccisa nel 2012, sono state date disposizioni per l’annullamento della registrazione del veicolo presso la motorizzazione e per il ritiro della patente.

Da parte sua il Ceo di Uber, Travis Kalanick, ha diffuso un comunicato in cui si duole per l’accaduto e assicura di «voler fare tutto il possibile per consegnare il colpevole alla giustizia ed aiutare la vittima e la sua famiglia». Ma Kalanick ha provato anche a scaricare parte delle responsabilità sulle autorità indiane. La nostra compagnia, ha sostenuto, «lavorerà con il governo per stabilire controlli chiari dei precedenti (del personale) attualmente assenti nei programmi di concessione delle licenze del trasporto».

Per tutta risposta le autorità hanno sospeso l’attività di Uber a Delhi, inserendola in una «black list» di compagnie che non possono fornire alcun tipo di servizio nella capitale. E indagini sono state aperte anche per una verifica del suo servizio via ‘app’ in altre città - fra cui Chennai, Mumbai e Bangalore - in cui opera.
L’incidente è stato anche sfruttato dall’opposizione che ha manifestato davanti alla residenza del ministro dell’Interno Rajnath Singh, il quale ha poi riferito sul caso alla Camera.
Militanti del Partito dell’Uomo comune (Aap) dell’attivista Arvind Kejrival e dell’Unione nazionale degli studenti indiani (dietro cui c’è il Congresso di Sonia Gandhi) hanno criticato il governo definito «incapace di tutelare la sicurezza delle donne indiane». E un centinaio di loro sono stati arrestati dalla polizia.

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