Agostini sui new media

Angelo Agostini, grande studioso di giornalismo, ha sempre dedicato grande attenzione ai new media. L'intervista rilasciata a Paolo Caroli

di Paolo Caroli

TRENTO - Si apre oggi pomeriggio con l'incontro «I new media. Giornalisti, lettori e cittadini nell'era digitale», il ciclo di
incontri organizzato dall'Associazione Culturale «Rosmini» sul tema dell'informazione.
Un tema di grande attualità in un'epoca in cui proliferano le fonti virtuali di informazioni, che spesso giocano un ruolo importante all'interno dei movimenti di protesta come nel caso della cosiddetta «Primavera Araba».
Relatore sarà Angelo Agostini, docente presso lo «Iulm» di Milano, cui abbiamo rivolto alcune domande.
Come mai la scelta di questo tema?
«L'attualità del tema è data dai fatti, perché gli strumenti digitali stanno creando un nuovo ecosistema dei media ed oggi, accanto agli operatori professionali dell'informazione, sia gli enti istituzionali che i singoli cittadini sono in grado di produrre velocemente un'enorme quantità di informazione, il che inevitabilmente incide sui rapporti sociali e li modifica».
La rivoluzione è già in atto, ma sarà un continuo crescendo in questo senso?
«Non amo le profezie. Bill Gates dal 1993 ripete che nel giro di dieci anni i giornali spariranno, ma nel 2011 ci sono ancora. Certo è che la rivoluzione è ormai radicale e non riguarda solo l'informazione, perché le tecnologie digitali attraversano tutti gli ambiti della società, dall'economia alla vita domestica di ciascuno di noi».
Eppure i cittadini continuano a comprare i giornali, come mai?
«Non i cittadini, ma alcuni cittadini. In Italia non ci si è accorti così tanto del calo delle vendite perché già prima vendevamo pochi giornali, inoltre la questione non riguarda ancora i giornali locali specie nelle realtà più piccole come può essere il Trentino, dove ancora non ci sono produttori virtuali di notizie che possano essere una vera e propria alternativa, così il giornale locale per ora conserva la propria clientela, ma è solo questione di tempo».
Molti però, pur usando internet, scelgono deliberatamente anche il giornale, perché?
«In generale chi compra oggi un giornale cerca una struttura complessa d'informazione che in rete non si trova; lo stesso successo dell'ipad si deve al fatto che è possibile leggere il giornale così come nella versione cartacea, il che dimostra che l'idea del giornale è una forma culturale che resta valida ancora oggi per la gerarchia delle informazioni, la divisione delle notizie, insomma una struttura che le metta in relazione, dia loro un ordine, una lettura della realtà. Nessun altro strumento finora è riuscito a fare questo nel modo in cui riesce a farlo un giornale. Ezio Mauro ha detto che la rete è un nastro trasportatore delle notizie all'interno della giornata, su cui il giornale ogni mattina costruisce una cattedrale. Non sono molto
d'accordo sulla prima parte, ma la seconda è sicuramente vera».
Nell'incontro di oggi si parlerà di giornalisti, lettori, ma anche di cittadini, perché i new media cambiano  anche il nostro modo di essere cittadini?
«Certo, perché cambia non solo la capacità dei cittadini di consumare informazioni, ma la rete è prima di tutto un moltiplicatore della capacità dei cittadini di produrre informazioni. Per quanto riguarda la fruizione, è ovvio che di fronte a un'inflazione delle offerte di notizie, servirà una capacità di districarsi fra le varie fonti, il che significa che per accedere alla
cultura bisogna essere colti. Ciò comporta la necessità che i nuovi media entrino nel sistema educativo, perché oggi un insegnante che non conosce la rete non è un buon insegnante; se un tempo la scuola insegnava solo a leggere e scrivere oggi deve insegnare a vedere, ad ascoltare. I ragazzi di oggi infatti, così come passano o dovrebbero passare del tempo con i
libri, lo passano anche davanti a internet e alla tv e perciò quell'ambiente che è al centro della vita dei ragazzi deve anche essere oggetto dell'insegnamento per guidarne la fruizione, poi ovviamente si può discutere sulle modalità didattiche».

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