«Quarant'anni  di fatica per il bosone»

Il bosone, ossia la particella che prende nome dal fisico britannico Peter Higgs, ha un aggancio anche con la valle di Ledro. Nella persona di Giorgio Goggi, l'ex direttore del Cern di Ginevra che da decenni è legato affettivamente alla valle e che, proprio nella sua casa di Pieve, il 4 luglio scorso ha saputo della conferma alla teoria del "Modello standard" dopo più di 40 anni di ricerche

di Paola Malcotti

LEDRO - Il bosone, ossia la particella che prende nome dal fisico britannico Peter Higgs, ha un aggancio anche con la valle di Ledro. Nella persona di Giorgio Goggi, l'ex direttore del Cern di Ginevra che da decenni è legato affettivamente alla valle e che, proprio nella sua casa di Pieve, il 4 luglio scorso ha saputo della conferma alla teoria del "Modello standard" dopo più di 40 anni di ricerche.


Prorettore dell'Università di Pavia ed ora professore di fisica allo IUSS, l'Istituto universitario di studi superiori, verso la fine degli anni ‘80 Goggi fu vicedirettore della divisione e dei laboratori di ricerca del Cern, passando alla direzione nel 1991. Dove vi rimase per sette anni.


«In quel periodo - racconta lo specialista in anelli di accumulazione - collaborai con vari premi Premi Nobel, compresi Jack Steinberger e Carlo Rubbia, e partecipai alle prime fasi della realizzazione del progetto Lhc, l'acceleratore dalla circonferenza di 27 chilometri costruito a 100 metri di profondità sul confine tra Francia e Svizzera nel quale sono stati fatti gli esperimenti con i fasci di particelle che oggi hanno dato i loro frutti. Visto da occhi profani il tutto forse è incomprensibile, ma lo sforzo compiuto per la realizzazione del progetto è paragonabile a quello della conquista della Luna: alle spalle vi è però molta più raffinatezza scientifica.


Ci sono voluti decenni per realizzare tutto ciò e dal punto di vista della ricerca di base la conferma della teoria di Higgs è un grande successo: ci vorranno altri dieci anni per studiare i dati rilevati ma nel frattempo il bosone permetterà di comprendere meglio la natura del mondo fisico e quale fu il meccanismo che portò alla nascita dell'universo». Il tutto "made in world". Come la maggior parte delle grandi imprese della scienza, il Modello standard e il quarantennale sforzo per verificarlo sono infatti il risultato di una collaborazione internazionale. Senza barriere.


«Veniamo considerati dei folli - sorride affabile Goggi, scienziato dall'eccezionale umanità, didatta d'esempio per le generazioni future - ma ciò che ci spinge, indiscriminatamente, è un'immensa curiosità e passione. E' divertimento. Noi sapevamo cosa cercare, ma per arrivarci ci serviva un "giocattolo" particolare: l'acceleratore. Grazie al Lhc si è riusciti ad arrivare agli attimi successivi al Big Bang: i dati raccolti serviranno ora per capire gli stati iniziali dell'universo, a come esso si sia evoluto».

 

Un viaggio a ritroso nel tempo insomma, di straordinaria semplicità, alla scoperta di una particella particolare, diversa dalle altre: il bosone di Higgs infatti non solo completa il Modello standard, ma rappresenta un valore essenziale per la generazione della massa delle altre particelle. E senza particelle dotate di massa non ci sarebbero la Terra, il Sole, le stelle. E l'uomo. Un trampolino di lancio per lo studio dello spazio, del tempo, dell'energia, della simmetria ideale che, si crede, generò la forza da cui derivò l'universo così come oggi lo conosciamo.

 

Materia per geni. Che in Italia non mancano. «Al Cern - conclude Goggi - ebbi anche il compito di filtrare le domande di inserimento nel programma Lhc dei componenti dei gruppi di ricerca e prepararli: è indescrivibile la quantità di cervelli di cui l'Italia dispone ma che vengono regalati all'estero. Non tanto per mancanza di risorse economiche quanto per il limite imposto alla ricerca nel nostro Paese. Per quel che mi riguarda, partecipare alla nascita ed alla realizzazione di tutto ciò è stata un'immensa soddisfazione professionale e personale. La passione non si è affievolita con gli anni anzi: spero di poter vedere ancora qualcosa che mi diverta».

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