Tennis / L’editoriale

Italia ai piedi di Sinner: Jannik è lo sport che ci piace davvero

Se il fisico lo assisterà, sarà in grado di riscrivere la storia mondiale del tennis portandolo in una nuova dimensione dove in questo momento non c’è Alcaraz che tenga. Se c’è qualcuno che potrebbe presto completare il Grande Slam, come sono riusciti a fare, tantissimi anni fa, solo Don Budge e Rod Laver ma non Djokovic, Federer e Nadal beh, quello è proprio Sinner

di Pierluigi Depentori

Grande Jannik Sinner! Ha definitivamente fatto breccia nei cuori degli italiani facendo parlare di tennis milioni di (neo) appassionati che fino a ieri di parole come tie-break, servizio slice e drop shot ignoravano quasi l’esistenza, pronti a svegliarsi alle 4.30 del mattino per non perdersi nemmeno un quindici. E, soprattutto, lo ha fatto da ragazzo della porta accanto, con la sua straordinaria semplicità da “Carota boy” (un marchio, ormai), un sorriso sincero e senza dover ricorrere a quel bagaglio di ammiccamenti che spesso accomuna gli sportivi più pagati, a partire dai calciatori, quasi tutti pronti a cadere per terra ad ogni minima spinta, quasi tutti tatuati fino all’inverosimile, quasi tutti capaci di comportamenti virtuosi solo a parole.

 

Jannik, il ragazzo che viene da Sesto Pusteria, è un predestinato da molti anni. A diciassette anni, sui campi dell’Ata Battisti di Trento, vinse il secondo torneo della sua carriera davanti a un pubblico che dalle parti di via Fersina non si era mai visto. C’era passato anche Daniil Medvedev, qualche anno prima, il suo avversario battuto nella finale di oggi, e c’era passato pure Simone Vagnozzi, uno dei coach del campione altoatesino. Destini che si intrecciano, ora che è definitivamente entrato nella Storia.

 

Jannik Sinner è forse il massimo esempio moderno di perseveranza. Il talento non gli è mai mancato, ma è a partire dalla sua “testa” che un potenziale campione si è ormai trasformato in campionissimo. Nello sport abbiamo visto innumerevoli “talenti” non sbocciare mai davvero, soprattutto in Italia, per colpa di una “testa” non adeguata, vuoi perché i soldi e il successo rischiano di annebbiare, vuoi perché mancava la “fame” per migliorarsi ancora, e ancora, e ancora.

Jannik è talmente focalizzato sul miglioramento della sua “macchina” da diventare quasi maniacale. D’altronde chi conosce il tennis sa che è uno sport che potremmo definire scientifico, dove vince chi fa più colpi vincenti o chi sbaglia di meno. Questione di percentuali: e quelle di Sinner sono andate sempre in crescendo fino a diventare, negli ultimi mesi, mostruose.

C’è chi ha come colpo più forte la battuta, chi il dritto, chi il rovescio, chi il gioco di volo: Jannik ha talmente lavorato su ogni aspetto del suo tennis da essere diventato superiore a tutti gli altri giocatori in tutti i fondamentali: risponde meglio di Djokovic, ha un dritto che è meglio di quello di Nadal, un rovescio che è superiore a quello di Agassi, serve meglio di Federer, si muove sul campo meglio di Alcaraz e Medvedev. E, soprattutto, continua a migliorare.

Anno dopo anno, torneo dopo torneo, partita dopo partita. Spesso nelle interviste dopo le sue (rare) sconfitte, Sinner ha puntato l’attenzione su come quella disfatta sarebbe stata importante per imparare ancora. E così ha fatto. La sua seconda parte del 2023 è stata semplicemente strepitosa: primo Master 1000 a Toronto, la finale alle Atp Finals, la vittoria della Coppa Davis. E, soprattutto, la sensazione che quel piccolissimo gap che lo divideva dai primi tre al mondo (Djokovic, Alcaraz, Medvedev) sia stato colmato fino ad innescare un clamoroso sorpasso: da ottobre in poi, al di là delle classifiche annuale, il miglior giocatore del mondo è Sinner.

Jannik, l’esempio per tutti i nostri giovani. Un comportamento in campo sempre esemplare (al massimo un “pugnetto” guardando l’avversario dopo aver vinto un punto), mai una discussione con gli arbitri, la prima parola nelle interviste sempre nel sottolineare la bravura dell’avversario (quasi sempre sconfitto), l’ascolto senza se e senza ma dei consigli dei suoi coach, lui che ormai non ne avrebbe più bisogno. E così il “computer Sinner" ha continuato a migliorarsi, ad autoaggiornarsi, a diventare una macchina da guerra (sportiva) indistruttibile, a dimostrazione che il talento da solo non basta per arrivare in vetta, se non c’è la massima abnegazione.

Certo, qualche momentaccio ce l’ha avuto anche lui: i troppi ritiri due anni fa, quando il fisico era ancora “in costruzione”, il divorzio dal suo coach di una vita Riccardo Piatti (lasciato per abbracciare Darren Cahill e una metodologia di allenamento più da top player), la mancata risposta alla convocazione in Coppa Davis (con l’accusa di tenere poco all’Italia, salvo poi portarla in trionfo nella finale di Malaga), la residenza fiscale a Montecarlo (come moltissimi campioni, da Djokovic a Medvedev, da Tsitsipas a Rune, da Leclerc a Verstappen). Polemiche che si riaccendevano ogni volta che perdeva un incontro.

Lui, con il suo sorriso a volte imbarazzato e gentile, sembra proprio il ragazzo della porta accanto. Ed è per questo che piace tanto ai pubblicitari, e pure alle mamme, in contrapposizione agli altri idoli dei ragazzini (dagli youtuber ai trapper) che invece puntano tutto sull’immagine fregandosene della sostanza, del talento, dell’umiltà, della gentilezza. Insomma, della normalità.

Ecco perché il “carota boy” da Sesto Pusteria ha vinto ancor prima di scendere in campo per la finale. E se il fisico lo assisterà, sarà in grado di riscrivere la storia mondiale del tennis portandolo in una nuova dimensione dove in questo momento non c’è Alcaraz che tenga. Se c’è qualcuno che potrebbe presto completare il Grande Slam (la vittoria nello stesso anno dei quattro tornei più importanti al mondo, Melbourne, Parigi, Wimbledon e Us Open), come sono riusciti a fare, tantissimi anni fa, solo Don Budge e Rod Laver ma non Djokovic, Federer e Nadal beh, quello è proprio Sinner.

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